Condominio

Il condominio, le delibere approvate e la soccombenza virtuale

Quando cessa la materia del contendere, alle spese processuali va condannato il soccombente cossiddetto virtuale. Vale anche in ambito condominiale

di Selene Pascasi

Sostituita la decisione assembleare impugnata, cade l'interesse ad agire della parte istante e va adottata una pronuncia che regoli le spese processuali tenuto conto della soccombenza virtuale. Per la condanna alle spese insomma andrà valutato quale sarebbe stato l'esito del giudizio se non fosse intervenuta la nuova delibera. Lo afferma il Tribunale di Rieti con sentenza n. 614 del 30 luglio 2019.

Il caso specifico
A contestare una deliberazione, e reclamarne la nullità o comunque l'illegittimità, sono alcuni dei proprietari di uno stabile. A loro avviso, l'assemblea aveva approvato due dei punti posti all'ordine del giorno – inerenti l'esame dei curricula tecnici per la risoluzione di una diffida e la conferma o revoca dell'amministratore – senza rispettare le regole del Codice civile sulla maggioranza degli intervenuti considerato che, su otto condomini presenti, quattro avevano votato a favore e quattro avevano votato contro. Le carte in gioco, però, vengono stravolte da successive assemblee con cui viene scelto un altro amministratore ed un tecnico terzo di comune fiducia.

Incontestate le nuove delibere, cessa la materia del contendere e i condòmini modificano le richieste: accertare la virtuale fondatezza dell'impugnazione per statuire, almeno, sulle spese di lite. Esaminata la questione, il tribunale laziale – dichiarata cessata la materia del contendere per sopraggiunto difetto d'interesse ad agire vista l'adozione di delibere definitive rispettose delle maggioranze legali – si sofferma sul nodo della soccombenza virtuale, ovvero l’addebito delle spese a chi fosse risoltato soccombente qualora non fossero sopraggiunti atti idonei a soddisfare le pretese di una delle parti.

La soccombenza virtuale
Sul punto, richiamata consolidata giurisprudenza (Corte di cassazione n. 20071/2017) si ricorda che, impugnata una delibera condominiale, al giudice che dichiari il sopravvenuto difetto d'interesse ad agire dell'istante conseguente alla sostituzione delle delibere, spetta il regolamento delle spese processuali con pronuncia fondata sul vaglio delle probabilità normali di accoglimento della stessa. In altre parole, sarà necessario accertare, con sommario giudizio di “prognosi postuma”, quale sarebbe stato l'esito del giudizio se non fosse intervenuta la nuova delibera.

Del resto, non si può sottovalutare come chi abbia preso l'iniziativa processuale vi sia stato costretto dalla condotta di controparte lesiva dei propri diritti e abbia “perso” l'interesse ad agire solo successivamente (Tribunale di Milano, 19 luglio 2017).

Peraltro, nella vicenda la domanda proposta risultava verosimilmente fondata e meritevole di accoglimento. L'assemblea in seconda convocazione – regolarmente costituita con l'intervento di condòmini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti – delibera, infatti, in maniera valida solo con l'approvazione della maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.

Esiste, quindi, un doppio requisito che deve essere soddisfatto, sia in prima che in seconda convocazione: alla riunione devono presenziare soggetti che rappresentino, di persona o per delega, almeno due terzi del valore dell'edificio in prima convocazione (un terzo in seconda) e almeno la maggioranza dei condòmini (un terzo in seconda convocazione) intesi come persone fisiche.

Le delibere assembleari e le maggioranze
Il Codice civile, infatti, all'articolo 1136, quando si riferisce al numero di voti necessario per approvare le delibere, parla di maggioranza degli intervenuti come persone fisicamente presenti, compresi i delegati, ed esclude che debba trattarsi della maggioranza dei partecipanti al condominio.

La regola per il calcolo delle “teste” in ambito di quorum costitutivi e deliberativi è, perciò, chiarissima. I condòmini vengono individuati e conteggiati non in base al numero degli immobili che possiedono ma per soggetti intervenuti in assemblea. Il proprietario di due o più unità, dunque, in riunione sarà conteggiato come una sola testa rappresentante i millesimi scaturiti dalla somma dei parametri millesimali di proprietà dei suoi immobili. Maggioranze di teste e valore che, entrambe, devono sussistere congiuntamente al momento del voto.

Ebbene, nel caso concreto, il quorum deliberativo “per teste” non era stato raggiunto considerata la parità di voti espressa dagli intervenuti in assemblea (quattro voti favorevoli e quattro voti contrari) perciò la deliberazione era senz'altro illegittima. Viene da sé concludere come l'eventuale proseguire della controversia avrebbe decretato, inevitabilmente, la vittoria dei condòmini impugnanti la prima delibera. Si motiva così, la condanna alle spese processuali del condominio virtualmente soccombente.

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