Condominio

Per la prova dell’appropriazione indebita dell'amministratore non serve una perizia

Non è una prova decisiva ma neutra

di Giulio Benedetti

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, per valutare la sussistenza del reato di appropriazione indebita dell'amministratore , è sempre più rigorosa . Nella sentenza numero 48958/2019 afferma che il giudice, per dichiarare commesso il reato di appropriazione indebita da parte dell'amministratore condominiale, non deve necessariamente disporre un perizia contabile sui conti.

Questa è la conclusione in base alla quale ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore avverso la sentenza che lo aveva condannato per il reato di appropriazione indebita aggravata di somme di pertinenza del condominio amministrato, oltre al risarcimento del danno.

La mancanza di una perizia non è una prova decisiva
La Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il motivo di ricorso che lamentava la mancata effettuazione di una perizia contabile finalizzata ad accertare l'ammontare delle somme di cui l'imputata si era appropriata. Il giudice di legittimità affermava il principio per cui la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso in cassazione , poiché la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva , trattandosi di un mezzo di prova neutro, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice , in quanto non è una prova a discarico che abbia il carattere di decisività.

Altra sentenza della Corte di Cassazione ( n. 3398/2020) ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore avverso una sentenza di condanna per il reato di appropriazione indebita. La Corte non consentiva una completa rilettura degli elementi posti a base della decisione impugnata , la cui valutazione è riservata al giudice di merito, senza che sia un vizio di legittimità la prospettazione di una diversa visione degli elementi di prova.

La Corte rilevava che, nel caso trattato, il giudice di merito, con dovizia di argomentazioni , ha sottolineato che, anche in base ad un perizia contabile disposta nel giudizio, risultava che l'amministratore avesse stornato , per finalità personali, ingenti somme delle quali aveva la disponibilità sulla base della sua qualifica . Inoltre il giudice accertava che l'amministratore non restituiva più dette somme al condominio , in quanto le utilizzava per coprire debiti di altri condomini a lui amministrati. La Corte di appello riteneva la condotta dolosa , in quanto era stata protratta nel tempo, e non veniva messa in discussione dalle generiche censure del ricorrente. Per queste ragioni la Corte di Cassazione , oltre a dichiarare inammissibile il ricorso , condannava il ricorrente a pagare euro tremila alla cassa delle ammende.

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