Condominio

La condominialità di un bene deriva dalla sua «attidudine funzionale»

Chi ne rivendica l’esclusività è tenuto a dimostrarla

di Selene Pascasi

Per tutelare la proprietà di un bene comune, non serve dimostrarne rigorosamente la natura condominiale perché desumibile dall'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo. Piuttosto, spetterà a chi ne rivendichi la proprietà esclusiva dar prova di quanto affermi. Lo scrive il Tribunale di Savona con sentenza n. 691/2019.

Il caso specifico
Ad aprire la controversia sono alcuni condòmini: lo stabile in cui abitano, spiegano al giudice ligure, confina con un'area esterna cortilizia occupata in maniera illegittima – trattandosi di bene comune – da una condomina che vi aveva persino realizzato degli immobili. Di qui, la richiesta di condanna alla restituzione dello spazio e alla demolizione dei manufatti. La signora si difende sostenendo di essere proprietaria esclusiva del cortile e, in ogni caso, di averlo usucapito col passar del tempo. Domanda bocciata per difetto di prove.

Quando un bene si definisce condominiale
La questione, premette il tribunale, ruota tutta sulla riconducibilità o meno dell'area contesa ai beni che il Codice civile indica, all'articolo 1117, come condominiali. Ed è noto che, come insegna la giurisprudenza, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli individuati dalla norma non è necessario che il condominio ne dimostri la natura condominiale con il rigore che si esige per rivendicarne la comproprietà. La natura condominiale, difatti, la si potrà presumere dall' attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo .

Chi rivendica il bene deve dimostrarne l’esclusività
In altre parole, si riterrà comune il bene collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva. Sarà, quindi, chi vorrà reclamarne l'esclusività, a doverla dimostrare ( Corte di cassazione 9035/16 ). E la presunzione di comunione potrà esser vinta solo da un titolo contrario (riscontrabile nel contratto che ha istituito il condominio), nella delibera adottata all'unanimità dopo la sua costituzione o nell'accertata usucapione in favore di uno dei partecipanti.

L’accesso esclusivo al bene
Tuttavia, tornando alla vicenda, la donna aveva marcato un aspetto importante: era lei a godere dell'accesso esclusivo al cortile che, pertanto, non poteva dirsi bene comune. Rilievo ineccepibile laddove, ricorda il giudice, per cortile comune si intende lo spazio esterno che abbia la funzione non solamente di dare aria e luce all'adiacente fabbricato ma anche di consentirne l'accesso. Ma se quell'area non era cortile condominiale, la disciplina di riferimento non era rinvenibile nell'articolo 1117 del Codice civile bensì nell'articolo 948 sulla proprietà. Ecco che, aggiustato il tiro sulle regole applicabili, muta nettamente la prospettiva del processo. È chi agisce in rivendica a dover provare l'acquisto della proprietà a titolo originario, non potendo limitarsi a dimostrare l'esistenza in suo favore di un titolo di acquisto a titolo derivativo (Corte di cassazione 21940/18) che potrebbe essere viziato, per esempio, da difetto di legittimazione a disporre del primo proprietario (circostanza che rende inefficace l'acquisto).

La necessità di un titolo d’acquisto
In breve, mentre l'attore deve provare il suo titolo di acquisto e quello dei danti causa fino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario, il convenuto non dovrà giustificare il proprio possesso ma potrà difendersi invocando il principio per cui “possiede perché possiede”. Insomma, per accogliere la domanda, è condizione necessaria ma non sufficiente allegare un titolo di acquisto. Prova che, nella fattispecie, non era stata raggiunta: l'unico titolo di acquisto invocato dai condòmini era quello con cui il costruttore gli trasferiva la proprietà degli appartamenti. Ma quell'atto parlava di cessione di diritti sull'area sopraelevabile sovrastante la casa senza specificare se il cortile fosse o meno ricompreso nella cessione. Di converso, neppure era emerso con certezza che la signora fosse stata mai proprietaria esclusiva dell'area. E senza prove inequivocabili, il tribunale ligure non poteva che respingere le domande e compensare le spese di lite.

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