Condominio

Infiltrazioni dal terrazzo, vale anche la perizia prodotta in un altro giudizio

Danni per infiltrazioni d'acqua provenienti dalla terrazza: l’Atp redatto in altro procedimento è probatorio in assenza della parte e di ogni ragionevole dubbio

di Michele Orefice

La Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, con l'ordinanza n. 128 del 8 Ottobre 2019 ha consacrato sia il principio che la prova, seppure atipica, ovvero assunta in altro procedimento giudiziario, benché connesso, può essere legittimamente valutata dal giudice, indipendentemente dalla sua acquisizione, chiaramente in raffronto a tutti gli altri elementi di prova presenti nel giudizio, sia il principio della probabilità relativa della prova, in base al quale è sufficiente che in sede processuale civile il metro di giudizio del nesso di causalità tra fatto ed evento dannoso avvenga sulla scorta di una ragionevole probabilità logica e non al di là di ogni ragionevole dubbio.

I fatti
Il fatto di cui si è occupata l'Ordinanza in commento riguarda la decisione assunta dalla Corte di Appello di Napoli, che aveva confermato a sua volta la decisione resa dal Tribunale di Napoli, con la quale la signora “L.S.” veniva condannata a risarcire i danni al signor “C.S.”, per le infiltrazioni d'acqua provenienti dall'impianto di irrigazione della terrazza di sua proprietà, che erano state causate dall'innaffiamento incontrollato delle piante.

Il presupposto di entrambe le decisioni era che la relazione di accertamento tecnico preventivo (ATP), espletata nel corso del giudizio cautelare, doveva considerarsi probante unitamente al verbale di sopralluogo dei Vigili del Fuoco, ritenuto collimante con le risultanze della stessa relazione.

L'accertamento tecnico preventivo veniva ritenuto una valida prova, anche se non era stato correttamente integrato il contraddittorio nella fase cautelare, essendo stato citato in giudizio il mero convivente della convenuta signora, in quanto nel giudizio di merito successivamente instaurato, e nel giusto contraddittorio, la stessa parte convenuta aveva avuto modo di disquisire sulla valenza della stessa relazione tecnica.

Il ricorso
Il ricorso innanzi alla Suprema Corte veniva affidato a due motivi.
Il primo motivo eccepito dalla ricorrente denunciava la violazione del diritto di difesa o falsa applicazione degli articoli 24 e 111 della Costituzione e dell'articolo 101 del Codice di Procedura Civile, in relazione all'articolo 360 n. 3 del Codice di Procedura Civile, in quanto la Corte di Appello aveva commesso un errore manifesto nell'acquisire la relazione di ATP ritenendone opponibili le risultanze alla stessa ricorrente, che non aveva partecipato al procedimento cautelare.

Il secondo motivo, invece, denunciava, ai sensi dell'articolo 360 n. 3 del Codice di Procedura Civile, la violazione dell'articolo 116 del Codice di Procedura Civile in relazione all'articolo 2043 del Codice Civile, per erronea o parziale valutazione di elementi istruttori acquisiti in atti e ai sensi dell'articolo 360 n. 5 del Codice di Procedura Civile, per omesso esame di un fatto decisivo, ossia la circostanza che le cause delle infiltrazioni accertate venivano indicate come probabili nel contesto delle relazioni acquisite, mentre i giudici del merito le davano per certe, nonostante la mancanza del requisito della certezza, omettendo di considerare che nelle stesse relazioni si faceva riferimento a tracce di pregresse infiltrazioni dovute all'errata costruzione di un muro di contenimento da parte della proprietà sottostante il terrazzo.

Il ragionamento della Cassazione
La Suprema Corte osserva che la censura del primo motivo è manifestamente infondata, ai sensi dell'articolo 360 bis n. 2 c.p.c., in quanto vige nel sistema del processo civile il cosiddetto principio dell'acquisizione della prova, che consente al giudice di poter utilizzare legittimamente qualsiasi elemento probatorio, una volta introdotto nel processo, indipendentemente dalla sua provenienza (per tutte Corte di Cassazione, Sezione 2 - Ordinanza n. 5409/2019).

Pertanto, secondo i giudici di legittimità, non rileva il fatto che la relazione del consulente tecnico d'ufficio (CTU) sia stata frutto di un accertamento compiuto nella fase cautelare, ossia in un altro giudizio, al quale non ha partecipato la parte, in quanto il giudice del merito poteva legittimamente acquisire e utilizzare l'ATP.

Tant'è che l'acquisizione della relazione di ATP può avvenire anche materialmente, senza un provvedimento formale, l'importante è che il giudice del merito l'abbia esaminata traendone elemento per il proprio convincimento e che la parte (seppure assente nella fase cautelare) abbia avuto la possibilità di esaminarne e contestarne le risultanze di indagine (per tutte Corte di Cassazione, Sezione 2 - Sentenza n. 6591/2016).

Nella fase di merito la ricorrente, pur potendo interloquire sugli accertamenti rilevati in sua assenza, ha rinunciato a muovere contestazioni specifiche alle relazioni di ATP e dei Vigili del Fuoco, che attribuivano all'inaffiamento incontrollato delle piante la causa più probabile delle infiltrazioni, sulla scorta delle dichiarazioni rese dal compagno convivente della stessa ricorrente.

Tale mancata contestazione ha determinato la decisione della Corte di Appello di respingere la richiesta di nullità della relazione di ATP, che era stata assunta in assenza della proprietaria della terrazza, in quanto la stessa relazione era stata discussa nel contradditorio del giudizio di merito, con la parte assente, ed era stata valutata dal giudice di primo grado come prova atipica insieme alla collimante relazione dei Vigili del Fuoco.

È pacifico che il giudice del merito, sulla scorta del principio del libero convincimento, con riferimento all'ATP, che sia stata ritualmente acquisita, possa apprezzare tutti gli elementi esaminati dal CTU nella consulenza, insieme alle considerazioni espresse nella relazione, e ciò anche nel caso in cui il CTU avesse ecceduto i limiti del mandato conferitogli (Corte di Cassazione, Sez. 3 - Sentenza n. 5658 /2010).

Pertanto, secondo i giudici di legittimità, nessuna violazione del diritto di difesa può essere ravvisabile, anche in considerazione del fatto che la Corte di Appello ha accolto parzialmente l'appello, riformando la sentenza di merito nella parte in cui le spese di lite per la fase di ATP venivano poste a carico dell'appellante-ricorrente, che non aveva partecipato alla fase cautelare.

La Suprema Corte, di seguito, osserva che anche il secondo motivo è da ritenersi inammissibile, ai sensi dell'articolo 360 n. 5 del Codice di Procedura Civile, in quanto rivolto a mettere in discussione la valutazione di merito fatta dalla Corte di Appello durante l'accertamento del nesso causale dell'evento dannoso.

Tale accertamento è incensurabile sotto il profilo della legittimità, essendo stato effettuato alla luce delle prove ritualmente acquisite e nel rispetto del principio della probabilità relativa, che vige in materia civile.

Vale a dire che, nel comparare le possibili concause del danno, la Corte di Appello non ha omesso di considerare un fatto decisivo, che era stato oggetto di discussione, ma ha ritenuto legittimamente più probabile che il danno da infiltrazioni d'acqua fosse stato causato dall'impianto di irrigazione della terrazza, piuttosto che dall'errata costruzione del muro di contenimento della proprietà sottostante la stessa terrazza, circostanza che di per sé non rappresenta un dato obiettivo, con autonoma rilevanza.

Nel caso di specie le dichiarazioni incontestate rese dal compagno della ricorrente sull'innaffiamento incontrollato delle piante avevano determinato la libera convinzione del giudice di merito che ci fosse, certamente, un nesso causale tra la condotta perpetrata dalla stessa ricorrente e le infiltrazioni dannose.

Pertanto, il giudice di merito non è incorso in alcuna violazione di norme di diritto, che regolano l'attività istruttoria, per aver individuato la causa più prossima dell'evento dannoso nell'inaffiamento incontrollato delle piante, in quanto nel processo civile non sussiste l'obbligo di dover assumere la prova al di là di ogni ragionevole dubbio.

Sotto tale profilo la decisione maturata dalla valutazione complessiva delle circostanze del caso non è sconfinata nel libero arbitrio, per il fatto che è compito del giudice valutare quale delle cause appaia “più probabile che non” rispetto alle altre, nella determinazione dell'evento dannoso (Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite – Sentenza n. 576/2008).

Peraltro, i giudici di merito, di fronte alla mancata contestazione delle risultanza delle relazioni, hanno dimostrato di aver autonomamente valutato non soltanto le dichiarazioni del consulente tecnico di ufficio, che ha fornito una prova critica-tecnica, ma anche le dichiarazioni rese ai Vigili del Fuoco, al momento dell'intervento, dal compagno convivente della ricorrente, che ha fornito una prova dichiarativa non contestata dalla stessa ricorrente.

Inoltre, omettere di esaminare elementi istruttori non vuol dire omettere di esaminare un fatto decisivo, in quanto per il giudice di legittimità è censurabile solo “l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti” (Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite – sentenza n. 8053/2014). Per tali ragioni il ricorso è stato dichiarato inammissibile e la ricorrente è stata condannata dalla Suprema Corte al pagamento delle spese di giudizio.

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