Condominio

Verbale d’assemblea: quanto deve essere fedele al testo iniziale?

di Anna Nicola

Spesso ci si chiede se, una volta chiusa l'assemblea, si possa modificare il testo del verbale.
Questo può capitare anche in ragione del fatto che esso viene stilato in prima battuta a mano, nel libro verbali assemblee, e poi riprodotto a macchina per il suo invio ai condomini.

La questione
La domanda è quindi se il verbale dell'assemblea condominiale debba essere redatto, corretto e chiuso necessariamente nel corso e alla presenza dell'assemblea condominiale, oppure possa essere redatto, corretto o modificato anche in assenza dell'organo collegiale, essendo, al riguardo, sufficiente che il verbale riporti la sottoscrizione del Presidente e del Segretario che lo hanno redatto o modificato.

Nello specifico ci si interroga anche sull'eventuale validità dell'inserimento nel verbale, al termine o dopo lo scioglimento dell'assemblea condominiale, di un condomino considerato “assente” nel corso dell'intero procedimento collegiale (costituzione, discussione e deliberazione): si tratta di “mero errore materiale” e legittimi, pertanto, la modifica dei quorum costitutivi e deliberativi raggiunti nel corso della riunione assembleare?

Il tema è stato anche affrontato dalla Suprema Corte con sentenza 31 marzo 2015, n. 6552, cui è utile far riferimento per rispondere agli interrogativi.

Il caso
Nel caso di specie due condòmini impugnavano una delibera condominiale sia per assunti vizi relativi alla sua verbalizzazione, la quale era stata modificata in alcune indicazioni riguardanti la presenza e l'assenza di altri condomini successivamente alla chiusura dell'assemblea stessa che sulla legittimità riguardanti alcun lavori.

Il Supremo Collegio dettava i concreti confini di legittimità delle modifiche del verbale evidenziando entro quali limiti e a quali condizioni il verbale possa essere modificato a seguito dell'esaurimento delle operazioni assembleari.

La correzione apportata nella copia del verbale assembleare consegnata ai condòmini, nel caso di specie, non inficiava la validità della deliberazione assunta per la quale, eliminato l'errore materiale del computo dei millesimi e tenuto conto dell'effettiva partecipazione dei condomini presenti (anche per delega), era stato raggiunto il quorum necessario.

Eventuali interventi correttivi meramente materiali apportati al verbale successivamente alla chiusura dell'assemblea su disposizione del Presidente e con l'esecuzione da parte del segretario non comportano l'invalidità della relativa delibera allorquando le rettificazioni – comunque controllabili successivamente – non abbiano inciso significativamente sul computo della maggioranza richiesta per l'assunzione della delibera stessa, nel senso che non l'abbiano, in ogni caso, fatta venir meno.

Senza assemblea niente delibera
È invece nulla la deliberazione assunta dopo lo scioglimento dell'assemblea e l'allontanamento di alcuni condomini, a seguito di riapertura del verbale non preceduta da una nuova rituale convocazione a norma dell'art. 66 disp. att. c.c., risultando violate sia le disposizioni sulla convocazione dell'assemblea sia il principio della collegialità della deliberazione.

Falso in atto privato
È utile ricordare che l'esposizione di fatti non rispondenti al vero nei verbali di assemblee condominiali integra una falsità ideologica in scrittura privata, penalmente non rilevante a norma dell'articolo 485 del Codice penale, che sanziona esclusivamente le falsità materiali in scrittura privata.

Se è indubbio che la falsità commessa nel verbale dattiloscritto potrebbe costituire un artificio idoneo a indurre in errore una persona, manca tuttavia l'elemento dell'ingiustizia del profitto con altrui danno, poiché l'artificio dev'essere finalizzato proprio all'induzione in errore dell'altra parte, che per ciò dovrebbe determinarsi a un atto di disposizione patrimoniale che altrimenti non avrebbe deciso di effettuare.

Non occorre proporre querela di falso, stante il fatto che il verbale fornisce una prova meramente presuntiva della verità dei fatti che si affermano essere accaduti in assemblea (Tribunale di Genova, 21 luglio 2004, e Tribunale Milano, 31 marzo 2003).

Si agisce quindi con l'azione di impugnazione in base all’articolo 1137 c.c. dimostrando che i fatti si sono svolti diversamente da quanto riportato.

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