Condominio

Interesse legale quasi a zero, tasse paradosso sull’usufrutto

di Angelo Busani

L’abbattimento quasi a zero del saggio annuo dell’interesse legale (stabilito nello 0,05% dal Dm 12 dicembre 2019, in vigore dal 1° gennaio 2020) provoca ripercussioni sul calcolo del valore delle rendite e dell’usufrutto che si deve effettuare per sottoporre tale valore alle imposte di registro, ipotecaria, catastale, di successione e donazione (si veda la tabella con tutti i calcoli ).

L’esempio concreto
Si pensi all’ipotesi (realmente accaduta) che un ospedale sia condannato al pagamento di una rendita vitalizia annua di 120mila euro in risarcimento del danno (la paralisi degli arti inferiori) provocato a un paziente 60enne, vittima di un intervento chirurgico eseguito con negligenza.

Trattandosi di sottoporre a tassazione questa sentenza di condanna con l’aliquota del 3% (articolo 8, comma 1, lettera a), Tariffa parte prima allegata al Dpr 131/86, Testo unico dell’imposta di registro), occorre determinare la base imponibile. Ebbene, l’articolo 46, comma 2, lettera c) del Dpr 131/86 stabilisce che la base imponibile della rendita vitalizia è data «dall’ammontare che si ottiene moltiplicando l’annualità per il coefficiente indicato nel prospetto allegato al presente testo unico, applicabile in relazione all’età della persona alla cui morte deve cessare». Il prospetto è stato modificato con decreto 20 dicembre 2019.

Per un 60enne il coefficiente è 1.200 e, quindi, la base imponibile è di euro 120.000 x 1.200 = 144 milioni che, al 3% provoca un’imposta di 4,32 milioni di euro, il che è evidentemente assurdo.

L’usufrutto
Altra assurdità è quella relativa alla costituzione di un usufrutto per un tempo determinato: infatti, se Tizio vende o dona a Caio l’usufrutto per un certo numero di anni su un appartamento con rendita catastale di 200mila euro, per determinare la base imponibile occorre stabilire il «valore attuale dell’annualità, calcolato al saggio legale di interesse» (articoli 46 e 48, dpr 131/1986) e cioè:

usufrutto per 30 anni, 200.000 x 1,4884367 % = 2.976,87 euro;

usufrutto per 20 anni, 200.000 x 0,9947692 % = 1.989,54 euro;

usufrutto per 10 anni, 200.000 x 0,4986277 % = 997,26 euro;

usufrutto per 5 anni, 200.000 x 0,2496254 % = 499,25 euro.

Non è plausibile che il valore di un usufrutto di un bene che vale 200mila euro in piena proprietà, in 25 anni (da 5 a 30) aumenti solo di (2.977 – 499 =) 2.478 euro; non è plausibile che l’usufrutto di un bene di valore 200mila euro, per 30 anni valga solo 2.977 euro (così come per 20 anni valga solo 1.990 euro eccetera).

Anche perché, se passiamo a osservare (sempre con riferimento a un bene del valore di 200mila euro) il valore di un usufrutto vitalizio attribuito a un 60enne (che, non senza fondatezza, si può ipotizzare duraturo per 30 anni, dato che si estingue con la morte dell’usufruttuario), il relativo calcolo offre il seguente risultato: 200.000 x 0,05 % x 1.200 = 120mila euro. In sostanza, se a un 60enne è donato un usufrutto vitalizio, la base imponibile è di 120mila euro mentre se gli sia donato un usufrutto trentennale la base imponibile è di 2.977 euro.

In questa materia c’è qualcosa che non va: le norme sono scritte in modo contrastante con il principio di capacità contributiva, in contrasto con la Costituzione.

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