Condominio

I posti auto comuni possono essere assegnati ai singoli solo all’unanimità

di Anna Nicola

L’articolo 1102 del Codice civile recita: «Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso».

La giurisprudenza è unanime nel ritenere c orretto il pari uso, anche potenziale.
Lo esprime a chiare lettere la Suprema Corte in data 21 dicembre 2011, n. 28025: «in considerazione della peculiarità del condominio degli edifici, caratterizzato dalla coesistenza di una comunione forzosa e di proprietà esclusive, il godimento dei beni, degli impianti e dei servizi comuni è in funzione del diritto individuale sui singoli piani in cui è diviso il fabbricato: dovendo i rapporti fra condomini ispirarsi a ragioni di solidarietà, si richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, dovendo verificarsi - necessariamente alla stregua delle norme che disciplinano la comunione - che l'uso del bene comune da parte di ciascuno sia compatibile con i diritti degli altri (v. Cass. 30 maggio 2003 n. 8808; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4617; 24 giugno 2008 n. 17208; Cass. 9 giugno 2010 n. 13879). […] Con riferimento al condominio la norma consente, infatti, la più intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva, purché il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l'altrui pari uso. In altri termini, l'estensione del diritto di ciascun comunista trova il limite nella necessità di non sacrificare ma di consentire il potenziale pari uso della cosa da parte degli altri partecipanti (v. Cass. 1 agosto 2001 n. 10453; 14 aprile 2004 n. 7044; Cass. 6 novembre 2008 n. 26737; Cass. 18 marzo 2010 n. 6546).»

Posti auto comodi e scomodi
La Corte di Appello di Messina, il 5 agosto 2019, ha nuovamente statuito sull'argomento a riguardo di posti auto. Il condomino impugnava alcune delibere lamentando che l'assemblea avesse conferito natura accessoria ai posti auto rispetto alle unità immobiliari e che le norme stabilite per l'uso degli stessi fossero in violazione dei pari diritti dei condomini nell'utilizzo.

Il Giudice di primo grado aveva statuito che detti spazi erano di proprietà esclusiva e di conseguenza il tema cadeva nel vuoto .

Il Giudice dell'Appello ha osservato che l'assegnazione «riguardava 20 posti dei quali i primi 10 posti in prossimità degli ingressi delle due palazzine, gli altri (dal n. 11 al n. 20) invece situati in uno spiazzo più lontano e, soprattutto, raggiungibile solo con l'utilizzo di una rampa di scale di ben 63 gradini».

In ragione di ciò, la Corte d’appello affermava che si era creata una «situazione di forte sbilanciamento tra i condòmini» che si configurava come violazione dell'art. 1102 c.c. e concludeva per l'invalidità delle delibere per violazione dell'art. 1102 c.c., perché l'assemblea aveva deliberato senza che ricorresse l'unanimità dettando «l'uso di quelli più comodi e vicini agli ingressi, a detrimento degli altri, costretti dalla sorte ad utilizzare uno di quelli raggiungibili solo attraverso la lunga scalinata» (63 gradini).

Le deliberazioni in oggetto «vanno pertanto dichiarate nulle in quanto tali da compromettere il pari uso dei beni comuni richiesto dalla legge e non derogato dai rispettivi titoli d'acquisto degli immobili». Peraltro, avrebbe dovuto dire che le rendeva annullabili e non nulle, in applicazione dell'art. 1137 c.c.

La valutazione in concreto
L'applicazione dell'art. 1102 c.c. e dei suoi limiti deve necessariamente essere valutata in concreto, come ad esempio osserva la Suprema Corte nella decisione del 29 gennaio 2018, n. 2114: «(...) la giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 27233/2013) ha chiarito che il citato art 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile, con la conseguenza che i suddetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate l'introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni. Comunque, ai sensi dell'art. 1102 c.c., in generale, la facoltà del singolo comproprietario di servirsi della cosa comune è subordinata alla duplice condizione che non venga alterata la destinazione della cosa e non sia impedito agli altri comproprietari di fare uso di essa secondo i loro diritti. Orbene, nella fattispecie, il giudice di appello ha – in conformità ai riportati principi accertato che la contestata clausola regolamentare (con la quale era stato stabilito che le parti in comune non potessero essere normalmente occupate od ingombrate dai singoli proprietari con opere di carattere provvisorio e che gli accessi e cortili avrebbero dovuto essere riservati al passaggio dei comproprietari, con la precisazione che il transito dei veicoli doveva ritenersi consentito per il solo tempo strettamente necessario al carico e scarico di persone e bagagli, con la conseguenza che – in caso di inosservanza della stessa complessiva disposizione – si sarebbe provveduto alla rimozione degli impedimenti, anche in via coatta, a spese del contravventore) era addirittura migliorativa del godimento da parte dei comunisti favorendo il libero transito dei veicoli (...)».

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