Condominio

Quando l’occupante abusivo è la pubblica amministrazione

di Selene Pascasi

L'occupazione appropriativa, come illecito permanente, si integra con la manipolazione del bene privato da parte della Pubblica Amministrazione e l'irreversibile trasformazione del fondo priva di decreto di esproprio. Lo puntualizza la Corte di cassazione con ordinanza n. 28182 del 31 ottobre 2019 (relatore Scalia).

Apre la lite la richiesta di due fratelli di ottenere dall'Azienda territoriale per l'edilizia residenziale pubblica il risarcimento del danno per occupazione acquisitiva e l'indennità da occupazione illegittima.

Opere edilizie illecite
Domanda accolta dai giudici di appello che, riconteggiata la superficie interessata, condannano l'A.T.E.R. a sborsare circa 500 mila euro per l'illecita realizzazione di opere edilizie su un'area che comprendeva le particelle appartenenti agli appellanti. Questi, però, formulano ricorso.

La misura del danno
Ricostruita analiticamente la dinamica degli interventi e allegati i vari provvedimenti autorizzatori ed attuativi, lamentano, sostanzialmente, l'inesatta misurazione dei metri quadrati occupati conseguente, a loro avviso, ad una parziale sovrapposizione alle aree conteggiate di aree espunte perché ritenute già ablate e liquidate con separato procedimento.

Motivo respinto. La sentenza impugnata, scrive la cassazione, aveva accertato l'area acquisita previa individuazione non solo dell'avvenuta occupazione ma altresì dell'effettivo uso per irreversibile trasformazione.

La «manipolazione del bene privato»
Del resto,per costante giurisprudenza, l'occupazione appropriativa – intesa come illecito avente natura permanente – si integra con la manipolazione del bene privato da parte della P.a. e l'irreversibile trasformazione del fondo senza un decreto di esproprio o giustificata da un decreto annullato (Cassazione, sezioni unite, n. 735/2015).

Circostanza, questa, che supporta la pretesa risarcitoria avente a oggetto i danni per il periodo, non coperto dall'eventuale occupazione legittima, durante il quale il privato ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene sino alla restituzione, o la domanda di risarcimento per equivalente esperibile, in alternativa, rinunciando alla proprietà del bene stesso.

L’occupazione non basta
Certo è, che a far scattare l'illecito non basterà la semplice occupazione. E' stato, difatti, più volte chiarito che occupazione appropriativa e usurpativa (ben distinte) si configurano, rispettivamente, nel caso di irreversibile trasformazione del fondo in assenza del decreto di esproprio, e nell'ipotesi di trasformazione in mancanza, originaria o sopravvenuta, della dichiarazione di pubblica utilità.

Tuttavia – marcava la Cassazione con ordinanza n. 12846/2018 – qualora sia proposta azione di risarcimento del danno da occupazione usurpativa è ammissibile la riqualificazione della domanda, anche da parte del giudice, come relativa ad un'occupazione appropriativa, essendo entrambe fonte di responsabilità risarcitoria della Pubblica Amministrazione secondo i principi dettati dall'articolo 2043 del Codice civile (responsabilità da fatto illecito).

Ciò ribadito, la Corte di legittimità si sofferma sulla doglianza con cui i ricorrenti contestavano l'omesso esame da parte dei giudici di appello sulla richiesta di risarcimento di danni legati all'occupazione dell'area ulteriore rispetto a quella indicata in decreto.

Censura pure bocciata. A prescindere dai profili d'inammissibilità, il tema delle occupazioni acquisitive ulteriori rispetto a quelle conseguenti al decreto di autorizzazione all'occupazione era stato, in realtà, adeguatamente trattato previo richiamo sia agli accertamenti di primo grado che alle verifiche del consulente nominato.

Un quadro, dunque, quello delineato dalla difesa dei ricorrenti che – difettando dei requisiti di ammissibilità delle censure e incorrendo, invece, nell'infondatezza delle ragioni addotte – non poteva non guidare la Corte di cassazione verso un rigetto ad ampio raggio.

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