Condominio

Sì alla palestra se non è vietata dal regolamento condominiale

di Valeria Sibilio

Mantenersi fisicamente in forma è, ormai, una delle prerogative della società moderna, in particolar modo dei cosiddetti “millennials”. Cosa c'è di meglio, quindi, del poter usufruire di una palestra direttamente nel proprio condominio. Ma come la mettiamo sui possibili dubbi che potrebbero emergere, da parte degli altri condòmini, riguardo l'apertura di una palestra sotto il proprio appartamento?

Il caso
Esiste ancora, a livello giuridico, molta confusione, come dimostra l'ordinanza 28279 del 2019 nella quale la Cassazione ha esaminato un caso originato dal contenzioso nato tra un gruppo di condòmini e le socie di una società dedita ad attività ginnica. I primi convenivano in giudizio i secondi per aver abusivamente realizzato una palestra nei locali del seminterrato di loro proprietà destinato a box. Il tutto con presunti gravi difetti di costruzione.
Il Tribunale accoglieva le domande attoree di eliminazione delle strutture realizzate, condannando le convenute al risarcimento dei danni nella misura di euro 52.778,18. La Corte d’Appello riformava parzialmente tale sentenza, dichiarando l'inammissibilità dell'appello incidentale proposto dai condòmini nei confronti della società - perché cancellata già prima della pronuncia della sentenza di primo grado - ed accoglieva parzialmente l'appello principale delle socie, riducendo la misura del risarcimento dovuto in euro 5.375,18, confermando, tuttavia, il divieto di esercizio dell'attività di palestra nei locali adibiti a box.

Il ricorso in Cassazione
Le convenute ricorrevano in Cassazione sulla base di tre motivi.
Nel primo, lamentavano che la Corte territoriale, avendo vietato lo svolgimento dell'attività di palestra nel locale seminterrato di proprietà esclusiva delle ricorrenti basandosi sul divieto previsto nell'art. 1122 cod. civ. di realizzare opere su parti di proprietà o di uso individuale che rechino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio, avrebbe fondato la sentenza su un fatto mai dedotto dagli attori che avevano allegato la mancanza di un titolo amministrativo legittimante il cambio di destinazione e non, invece, il pregiudizio cagionato alle parti comuni dalle opere realizzate nella proprietà individuale del condòmino. Un motivo giudicato infondato in quanto non era in contestazione la mancanza di autorizzazione al mutamento di destinazione,ma l'assunto attoreo che l'uso dei box come garage implicavaun accesso di persone ed una sollecitazione delle strutture del condominio rispetto alla quale era necessario verificare la compatibilità.
Nel secondo e terzo motivo le convenute denunciavano il fatto che la Corte avesse erroneamente inibito l'uso delle strutture realizzate pur avendo al contempo riconosciuto che tali opere risultassero compatibili con la struttura dell'edificio condominiale, ed avesse vietato l'attività di palestra in assenza del pregiudizio alle parti comuni. Due motivi esaminati congiuntamente dalla Cassazione, attenendo entrambi alla valutazione della compatibilità della destinazione d'uso dei locali di proprietà esclusiva rispetto alla natura condominiale dell'edificio, e ritenuti fondati. I locali adibiti all'attività vietata dal giudice d'appello erano di proprietà esclusiva delle ricorrenti e non costituivano, quindi, parte comune. L'articolo 1122 cod. civ. vieta le opere, anche su parti di proprietà esclusiva, nel caso in cui queste rechino un pregiudizio alle parti comuni o un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza, o al decoro architettonico dell'edificio. In assenza di tali pregiudizi, il divieto di adibire una proprietà esclusiva ad una certa destinazione d'uso dev'essere ricavabile da specifica clausola del regolamento condominiale.
Nel caso esaminato, lo stesso giudice del gravame aveva ritenuto che le opere contestateerano compatibili con la struttura dell'edificio, ed aveva ritenuto di non ordinarne l'eliminazione, purché non destinate ad attività di palestra. Un divieto si sarebbe dovuto ricavare da una disposizione chiara e univoca, del regolamento condominiale, in mancanza della quale il mutamento di destinazione non può essere ritenuto vietato, né può esserne ordinata la rimozione.
Gli ermellini hanno, perciò, accolto il secondo e terzo motivo di ricorso, respingendo il primo, cassando in relazione ai motivi accolti e rinviato, per le spese, ad un'altra sezione della Corte d'appello di Salerno.

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