Condominio

Affitti brevi e B&B sono assimilati a «case di alloggio»

di Valeria Sibilio

La diffusione di appartamenti condominiali affittati a turisti alla stregua di un albergo ha innescato una serie di interrogativi sulla facoltà dei singoli condòmini di avviare questo tipo di attività, soprattutto se il regolamento condominiale, regolarmente trascritto, li vieta. Il problema è che le definizioni del regolamento condominiale fanno spesso riferimento a a situazioni scomparse o poco usate (come gli affittacamere) e non prevedono le formule dell’affitto breve, tipo Airbnb.

Una risposta arriva dalla Cassazione (sentenza 25139/2019), che ha assimilato l’affitto turistico alla vecchia definizione di “case alloggio”.

Un gruppo di condòmini aveva citato la conduttrice e i proprietari di una serie di appartamenti condominiali nei quali si esercitava attività alberghiera, sostenendo che tale attività fosse vietata dal regolamento condominiale e chiedendone la cessazione e il risarcimento dei danni e la rimozione di alcune strutture collocate sul terrazzo di pertinenza e dell'insegna apposta sulla facciata dell'edificio. Le corti di merito davano ragione ai condòmini che protestavano, ma senza risarcimento dei danni.

Per i giudici, la previsione del capitolo tre del Regolamento condominiale che vietava di destinare gli appartamenti e gli altri locali del fabbricato a «case di alloggio», doveva intendersi nel senso che non fosse consentita l'utilizzazione degli immobili per attività di affittacamere, albergo o bed & breakfast.

I proprietari delle abitazioni destinate ad attività turistiche, nel ricorrere in Cassazione, sostenevano che con l'interpretazione letterale della locuzione “case di alloggio” si intenda far riferimento agli immobili destinati ad essere abitati da una famiglia. Per cui, il divieto precluderebbe, paradossalmente, la possibilità di adibire gli appartamenti condominiali ad abitazioni familiari.

La Cassazione, però, ha aderito all’interpretazione delle Corti di merito,rigettando tutti i ricorsi e soprattutto l’esito paradossale del ragionamento dei ricorrenti principali (i proprietari degli alloggi destinati ad attività turistica), che sono stati anche condannati a rimborsare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in 5.700 euro.

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