Condominio

Guida rapida alla lotta contro rumori e odori molesti in condominio

di Matteo Rezzonico, presidente Fna Federamministratori

Fra i motivi che più di frequente causano litigi in condominio, rientrano senz'altro i rumori e gli odori provenienti dalle vicine abitazioni. Secondo l'articolo 844 del Codice civile «il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi». Esiste quindi una soglia massima da non sforare, che però è influenzata da diversi fattori. Sempre il Codice civile precisa , infatti, che «nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso». La questione è affrontata anche dal Codice penale e, in particolare, dall'articolo 659 secondo cui «chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a trecentonove euro. Si applica l'ammenda da centotre euro a cinquecentosedici euro a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'Autorità». Il successivo articolo 674 prevede, invece, che «chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a duecentosei euro».
Le soglie di tollerabilità
Come accennato in precedenza, i rumori in condominio diventano molesti quando superano una soglia massima di tollerabilità. Il problema è che ad oggi non esiste alcuna norma che fissi un valore da non superare e così sono le sentenze di tribunali e Cassazione ad aver determinato un limite condiviso, che per gli ambienti abitativi è pari a 3 decibel (in ore serali) e 5 decibel (in ore diurne) rispetto al rumore di fondo. Ciò significa che un determinato rumore può essere considerato o meno molesto a seconda del luogo in cui viene percepito. In una via trafficata, ad esempio, il rumore di fondo a cui rapportare i decibel sarà nettamente più forte rispetto a una tranquilla strada residenziale.
Detto ciò, il regolamento condominiale di tipo contrattuale (il documento accettato da tutti i condòmini proprietari al momento dell'acquisto dell'immobile) può contenere al suo interno precise fasce orarie in cui osservare silenzio e prevedere sanzioni per i condòmini irrispettosi.
La multa, il cui importo varia dai 200 agli 800 euro in caso di recidiva, può essere comminata dall'amministratore, ma deve essere prima deliberata dall'assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.
Ctu per i rumori
Il condomino che lamenta il rumore molesto, falliti i tentativi di dialogo con il condomino rumoroso, può rivolgersi all'amministratore, che cercherà di trovare un accordo. Nei casi più gravi, che magari si protraggono da tempo, la questione viene inserita fra i punti all'ordine del giorno e discussa in assemblea. Qualora il rumore non cessi, il condomino danneggiato può rivolgersi a un giudice di pace, che affida a un perito la cosiddetta Consulenza tecnica d'ufficio (Ctu), il cui obiettivo è misurare l'intensità del rumore attraverso un esame fonometrico. Nel caso in cui viene accertato che il rumore prodotto supera quello di fondo di 3 o 5 decibel, l'autore può essere condannato a risarcire il ricorrente.
Dal punto di vista penale, affinché si configuri il reato previsto dall'articolo 659 del Codice penale “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone” e quindi il rumore sia giudicato lesivo della quiete pubblica, esso deve arrecare disturbo a un numero elevato di persone, anche se la denuncia può essere avanzata da pochi individui.
Sugli odori decide il giudice
Per gli odori molesti o presunti tali la questione si complica. Anche in questo caso la legge non fissa alcun valore massimo di riferimento e per valutare se un'esalazione è nociva o meno il giudice competente deve analizzare ogni singola situazione e decidere di volta in volta, anche in base al contesto. Sul punto, la Cassazione (sentenza n. 14467 del 24 marzo 2017) ha osservato che per gli odori molesti si applica il disposto dell'articolo 674 del Codice penale “Getto pericoloso di cose” aggiungendo poi come l'articolo 844 del Codice civile «costituisce un referente normativo, per il cui accertamento non è necessario disporre perizia tecnica». Ciò significa che il giudice dovrà decidere analizzando elementi probatori di diversa natura, non ultime le dichiarazioni delle persone offese e del tecnico di loro fiducia.
Rumori provenienti dall'immobile locato: ne risponde l'inquilino
Nel caso in cui i rumori molesti provengano da un'abitazione concessa in locazione, a rispondere dei danni sarà l'inquilino e non il proprietario dell'appartamento. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, che con l'ordinanza n. 4908 del 1° marzo 2018, ha osservato come in materia di immissioni intollerabili, se le stesse originino da un immobile concesso in locazione la responsabilità è dell'inquilino, a meno che il proprietario dell'immobile abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso «e non già per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi a carico di terzi».
Canna fumaria a debita distanza
Oltre agli odori, anche i fumi possono creare disagi e risultare pericolosi, soprattutto se provenienti da una canna fumaria. Ed è per questo motivo che la legge prevede distanze legali entro cui costruirle. Chi installa una canna fumaria deve quindi rispettare il regolamento solitamente predisposto dal Comune e, in mancanza di norme specifiche, toccherà al giudice stabilire se la distanza è corretta. Sul punto, la Cassazione (sentenza 22 aprile-26 maggio 2015, n. 10814) fa riferimento all'articolo 890 del Codice civile, secondo cui «chi presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, vuole fabbricare forni, camini, magazzini di sale, stalle e simili, o vuol collocare materie umide o esplodenti o in altro modo nocive, ovvero impiantare macchinari, per i quali può sorgere pericolo di danni, deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza». In presenza di norme comunali basterà quindi attenersi a quei valori, altrimenti spetta al giudice, caso per caso, anche attraverso perizie tecniche, stabilire quale sia la distanza minima da rispettare per evitare esalazioni nocive e conseguenti danni alla salute degli altri condòmini.

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