Condominio

La bonifica con fuoriuscita di gas configura il «getto pericoloso di cose»

di Giulio Benedetti

Il tema della vivibilità all’interno del condominio è sempre più attuale, perché sempre meno si sopportano le intrusioni illecite che compromettono la qualità della vita. È il caso delle immissioni rumorose od odorose moleste. Queste ultime, in particolare, possono provenire anche dall’esecuzione di un’attività di bonifica di un’area industriale prospiciente il condomino e che rendano invivibile la vita al suo interno.
La questione è stata trattata dalla Corte di Cassazione (sentenza 36444/2019) che ha rigettato il ricorso di un imprenditore contro una sentenza che lo aveva condannato per il reato dell’articolo 674 del Codice penale («getto pericoloso di cose») perché aveva provocato l’emissione di gas o vapori atti a molestare gli abitanti dei condomìni vicini all’area interessata da un’attività di bonifica.

In pratica era stato avviato un intervento demolitorio per le opere di sbancamento che aveva intaccato la soletta di copertura dell’edificio e causato la fuoriuscita di sostanze che, depositandosi al suolo, causavano emissioni ritenute nocive. Le sostanze volatili (benzene , clorurati e idrocarburi) si disperdevano nell’ambiente e arrecavano molestia alle persone abitanti negli immobili vicini generando rischi inaccettabili , come evidenziato nel verbale della conferenza dei servizi.

La Corte di Cassazione riteneva sussistente la violazione dell’articolo 674 del Codice penale, finalizzato a prevenire danni o pericoli per le persone conseguenti al getto o al versamento di cose atte ad offendere , imbrattare , molestare , ovvero all’emissione di gas, vapori o fumi idonei a cagionare gli stessi effetti. Le emissioni nell’atmosfera sono parificate alle «cose» citate nella norma e nel caso specifico si è verificata una sequenza di eventi che ha dapprima causato un getto o un versamento di rifiuti e, successivamente, l’emissione di miasmi dannosi.

Il reato è configurabile anche quando il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi anche dall’omissione dolosa o colposa del soggetto che aveva l’obbligo giuridico di evitarlo. Per l’esistenza dell’elemento soggettivo non rilevano i motivi o i fini di chi agisce, è solo necessario che la condotta gli sia attribuibile, almeno sotto il profilo colposo. In questo caso, dice la Cassazione, il reato sussiste perché la presenza di rifiuti pericolosi nel terreno da sbancare, nota ai soggetti coinvolti che avevano stipulato un accordo per ripartire i costi di bonifica e di smaltimento, imponeva specifiche cautele nello svolgimento delle attività di scavo. Cautele non adottate. Pertanto l’oggettiva molestia cagionata dai liquami (rimasti sul terreno per sette giorni) nei confronti degli abitanti degli immobili vicini era stata pienamente dimostrata.

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