Condominio

Il contratto trascritto, anche se è nullo, consente l’usucapione

di Angelo Busani

Se da un contratto di acquisto di un bene immobile affetto da nullità si possa giungere all’usucapione del bene oggetto di quel contratto è una questione che non ha una risposta univoca. La risposta è negativa (si veda la sentenza di Cassazione 21726/2019 pubblicata su «Il Sole 24 Ore» di ieri) se al contratto nullo – perché stipulato solo verbalmente – si seguita la consegna del bene, in quanto, in questo caso, si ha una situazione di “detenzione” del bene (derivante da un comodato tacito) che non porta mai all'usucapione, poiché per usucapire occorre “possedere” e non semplicemente “detenere”. La risposta è positiva invece se la nullità riguardi un contratto che sia stato trascritto nei registri immobiliari: in questo caso, si ottiene l’acquisto per usucapione – addirittura abbreviata – perché non c’entra il possesso ma la somma di tre elementi (la trascrizione, la buona fede dell’acquirente che è presunta e il decorso di un decennio: Cassazione 10356/2009 e 12782/2013).

Nel primo caso, la questione si gioca sui concetti di “detenzione” e di “possesso”. Detentore è, ad esempio, l’inquilino o il comodatario e cioè colui che ha la disponibilità di un bene in forza di un titolo (contratto di locazione o di comodato) che gli consente l’utilizzo del bene: un utilizzo, però, non come lo farebbe con assolutezza il proprietario, ma “riconoscendo” l’altrui diritto di proprietà.

Il “possesso” è la relazione materiale con un bene che ha colui che si comporta “da proprietario” non riconoscendo diritti altrui. Possessore è il proprietario, ma possessore è anche il ladro (che, beninteso, non acquista mai per usucapione, perché il possesso è illecito).

Per dare certezza alle situazioni di fatto che si prolungano nel tempo, la legge concede la sua tutela, rivestendo il fatto con il diritto. Se Tizio lascia passare 10 anni senza esigere il suo credito, questo si prescrive, perché la legge pensa che non esista; se Tizio coltiva il fondo del vicino (emigrato in Sudamerica tanti anni fa, abbandonando la proprietà) per almeno un ventennio, ne diventa proprietario per usucapione. Su chi sta inerte prevale chi opera.

Il problema è che l’usucapione presuppone oltre che il decorso del tempo, anche il “possesso” e cioè l’esercizio di una signoria sul bene di fattezza pari a quella che eserciterebbe il proprietario. Nel caso della sentenza 21726, viene messo fuori casa l’acquirente che aveva ottenuto la consegna dell’abitazione 35 anni fa, pagandone il prezzo, ma senza averstipulato il rogito. La consegna è stata ritenuta come un comodato tacito (sezioni unite, 7930/2008) un titolo da cui deriva la “detenzione” e non il “possesso”.

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