Condominio

Il comodato tacito ostacola il formarsi dell’usucapione

di Angelo Busani

Se un contratto di compravendita di un appartamento è nullo (nel caso specifico per mancanza della forma scritta), il fatto che l’acquirente abbia abitato nella casa per oltre 20 anni non costituisce il presupposto per il maturarsi dell’usucapione, nemmeno se l’acquirente vi abbia posto la propria residenza e abbia attivato le utenze. Lo stabilisce la Cassazione con la decisione 21726/2019.

Il caso è quello di un’impresa edile che, nel 1984, aveva consegnato un appartamento al compratore, il quale ne aveva pagato l’intero prezzo, ma senza mai stipulare il contratto di compravendita, nemmeno per scrittura privata non autenticata.

Già questo, appare essere un inverosimile caso di scuola, ma i dati incredibili non finiscono qui: nel 2005 (21 anni dopo la consegna) l’impresa “venditrice” reclama la restituzione dell’appartamento, a suo dire occupato senza titolo; nel 2011 il Tribunale dichiara l’usucapione; nel 2015 la Corte d’appello conferma l’intervenuta usucapione e, appunto, nel 2019 (35 anni dopo la presa di possesso e 14 anni dopo la citazione in giudizio) la Cassazione annulla tutto quanto deciso in sede di merito, affermando che, nel caso prospettato, mancano i presupposti per la maturazione dell’usucapione.

Il ragionamento della giurisprudenza di vertice non fa una piega:

a) per aversi usucapione, occorre una situazione di “possesso” protratta per oltre un ventennio; il “possesso” è diverso dalla “detenzione”, situazione che si ha quando un soggetto è nella disponibilità di un bene sulla base di un “titolo” che glielo consente;

b) nel caso specifico, in effetti un “titolo” c’è: è un tacito contratto di comodato, vale a dire la concessione della casa in uso gratuito ottenuta dal “compratore” nel 1984 (sulla cui base costui ha fissato la propria residenza nell’abitazione in questione e l’ha allacciata alle utenze);

d) per far sì che la situazione di “detenzione” evolva in “possesso” occorre un comportamento (in diritto detto “interversione”) con il quale il detentore mostra di evolvere la propria posizione in “possesso”, e cioè in una relazione materiale con un bene tenuta da un soggetto nello stesso modo in cui si comporterebbe il proprietario (per intendersi sulla differenza tra detenzione e possesso, basti dire che l’inquilino “detiene” e il ladro “possiede”, pur se poi questi non può usucapire in quanto il suo possesso è illecito);

e) nel caso esaminato dalla decisione 21726, dunque, l’interversione non vi è stata; è perdurata la vigenza del comodato e, quindi, non si è mai maturata quella situazione di possesso che, con il suo protrarsi ventennale, avrebbe provocato l’usucapione.

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