Condominio

Come regolarsi quando la legge non stabilisce una maggioranza per deliberare

di Giuseppe Màrando

A volte l’oggetto di una delibera da portare in votazione non trovi riscontro nel quadro delle maggioranze previste dalla normativa condominiale. Come sappiamo, a differenza della disciplina posta per la comunione e per le società, nel condominio è adottato un principio maggioritario specifico idoneo a meglio salvaguardare i diritti dei partecipanti perchè basato sulla regola della «doppia maggioranza», con l’elemento personale (le «teste») e l’elemento reale (il valore dell’edificio, espresso in millesimi). Entrambi devono sussistere per la validità dell’assemblea (quorum costitutivo) e per la validità dell’approvazione dei singoli atti (quorum deliberativo).
Con riguardo al problema deliberativo ed all’assemblea di 2° convocazione (quella normalmente adottata nella prassi comune), la regola generale posta dall’art. 1136, 3° comma, del Codice stabilisce che le delibere vanno approvate dalla maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno un terzo del valore dell’edificio, cioè 334 millesimi (in 1° convocazione cambiano solo i millesimi, che devono essere almeno 500).
Oltre a questa maggioranza, che si può chiamare semplice, vi sono poi nel codice (ed in leggi speciali) una serie di atti sottoposti a maggioranza qualificata. Infine, va ricordata un’altra ampia categoria di oggetti che richiedono l’unanimità dei partecipanti al condominio.
Il problema sorge quando un argomento all’ordine del giorno di un’assemblea di 2° convocazione impone di individuare la maggioranza attinente al caso di specie. La risposta più immediata sarebbe il ricorso alla regola generale sopra vista dell’art. 1136 che, in quanto «norma di chiusura», serve appunto a risolvere le situazioni dubbie. Ma una disamina più sistematica suggerisce una diversa soluzione.
L’amministrazione condominiale, detta pure «gestione», si divide in due grandi categorie, l’attività ordinaria e quella straordinaria. Il codice non fornisce una definizione di ciò che può essere straordinario, limitandosi a parlare di «lavori straordinari» (art. 1129, 4° comma), «manutenzione straordinaria» (art. 1135, commi 1° e 2°), «riparazioni straordinarie» (art. 1136, 4° comma). Per i giudici, il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione (rimessi alla competenza dell’amministratore e vincolanti per i condòmini ai sensi dell’art. 1133 del Codice) ed atti di amministrazione straordinaria (bisognosi di autorizzazione dell’assemblea, salvo le situazioni di urgenza) si basa sulla normalità dell’atto di gestione rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei beni comuni; e l’accertamento del carattere ordinario o straordinario è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito (Cassazione ord. n. 20136/2017; Cassazione n. 10865/2016). Così, ad esempio, rientrano nel concetto di gestione ordinaria, fra l’altro: la manutenzione ordinaria (Cassazione n. 11272/1990); la locazione (esclusa quella ultranovennale) della cosa comune (Cassazione n. 4131/2001; Cassazione n. 10446/1998); la recinzione della una zona verde di un viale condominiale (Cassazione n. 4508/2015); la stipula del contratto di somministrazione per il riscaldamento (Cassazione n. 555/1967). A nostro avviso, potrebbe includersi nell’elenco la delibera di nomina dell’amministratore quale responsabile del trattamento dei dati (v. art. 28 Regolamento UE 2016/679).
Tutto ciò che eccede l’ambito ordinario è da ritenersi appartenente all’attività straordinaria. Sono «straordinari» per definizione gli atti elencati nel citato art. 1136/4° e sottoposti dalla legge stessa alla maggioranza di 500 millesimi, a cui si aggiungono (sempre con il medesimo quorum) gli oggetti delle disposizioni introdotte successivamente dalla riforma 2012: proposta di mediazione (71-quater d.a.); apertura di un sito internet (71-ter d.a.); sanzioni irrogate dall’assemblea (71 d.a.); videosorveglianza sulle parti comuni (1123-ter); innovazioni c.d. «agevolate» (1120/2°); modifica delle tabelle millesimali nei due casi previsti dal 69 d.a. Altri atti straordinari (che per brevità non elenchiamo) richiedono una maggioranza più elevata.
Il principio espresso dal 1136/4° (quorum di 500 millesimi) è venuto ad assumere, ancor prima della riforma 2012, una valenza generale per gli tutti atti eccedenti l’ordinaria amministrazione privi dell’indicazione di una maggioranza. È questa la chiave per risolvere i casi non contemplati dalla legge. La giurisprudenza ha fatto applicazione del suddetto principio: 1) al contratto di assicurazione del fabbricato perché eccede l’ordinaria amministrazione ma non rientra nell’ambito delle innovazioni (Cass. 7/7/2010 n. 16011); 2) al servizio di portierato (Cassazione n. 16880/2007); 3) a quello di guardiania notturna (Trib. Napoli 21/3/2000), anche se qualche sentenza datata si è pronunciata per l’incompetenza assoluta dell’assemblea; 4) alla transazione sulle spese di interesse comune (Cassazione n. 7201/2016; Cassazione n. 1234/2016), principio che ha ricevuto una conferma testuale con il nuovo 71-quater/5° sulla proposta di mediazione. Si possono aggiungere, per la stessa logica sistematica: a) l’accordo di negoziazione assistita (in analogia con la proposta di mediazione); b) il mutuo bancario senza ipoteca (che certamente non può considerarsi un atto di ordinaria amministrazione).
Chiudono il quadro gli atti da approvare all’unanimità (di tutti i condòmini e non solo di quelli presenti in assemblea), che vengono ricavati dalla elaborazione giurisprudenziale, tranne le seguenti due sole previsioni legislative. L’art. 1108 del Codice (dettato in tema di comunione ma applicabile al condominio per il rinvio dell’art. 1139) richiede il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sui beni comuni e per le locazioni ultranovennali. L’altra norma è l’art. 1123 del Codice che pone le regole per la ripartizione delle spese fra i condòmini consentendo, però, di derogare ai criteri legali con apposita convenzione, atto tipico dell’autonomia negoziale che generalmente si traduce in una clausola del regolamento condominiale contrattuale. L’unanimità è inefficace se l’oggetto è illecito o si violano norme imperative, fra cui quelle dichiarate inderogabili.
In via interpretativa il filone principale è, tuttavia, costituito dagli atti che ledono i diritti individuali del condòmino e che pertanto danno luogo alla nullità della delibera se non presa all’unanimità. Si riportano solo alcuni esempi: interessi moratori a carico dei condòmini in ritardo nei pagamenti delle quote (Cass. 30/4/2013 n. 10196); rinuncia agli atti del giudizio od all’azione; modifiche a destinazioni d’uso quando vietate; modifiche alle clausole contrattuali del regolamento; deferimento ad un collegio arbitrale delle controversie; dispensa dell’amministratore dal recupero dei contributi verso i condòmini morosi; attribuzione di spese non dovute; fondo per ripianare le morosità; e così via.
In conclusione, quando un atto od un’opera non sono espressamente previsti dalla legge, o non è indicato il quorum necessario, bisogna indagarne la natura per accertare se eccedono l’ordinaria amministrazione, in modo utilizzare per analogia il principio del 1136/4°; semprechè non si rientri fra gli atti da approvare all’unanimità.

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