Condominio

Per chiedere soldi ai condòmini virtuosi il creditore deve provare di aver «escusso» i morosi

di Rosario Dolce

Il recupero dei crediti nei confronti dei condòmini morosi o virtuosi che siano è sempre più problematico. Lo testimonia il contenuto di una recente sentenza emessa dal Tribunale di Roma - n.12355 del 12 giugno 2019 (giudice unico Mirian Iappelli) -, resa in sede di opposizione all'esecuzione.
Il caso da cui prende spunto la vicenda è uno dei tanti in cui un fornitore condominiale ottiene un titolo esecutivo contro il condominio. Fin qui, va sempre tutto bene. Il problema sorge – e, in effetti, è tale quello sorto nella fattispecie - quando questi tenta di metterlo in esecuzione, in assenza di adempimento spontaneo, nei confronti dei rispettivi debitori (o meglio, nei riguardi dei singoli condòmini).
Il giudice capitolino, sotto tale punto di vista (e in linea generale), rappresenta che il creditore procedente è tenuto sempre a provare il soggetto legittimato passivamente a rispondere dell'obbligazione dedotta in seno nel titolo. Dall'altra parte, il condòmino che subisce lo svolgimento dell'azione esecutiva, se del caso, è tenuto ad allegare l'eventuale propria quota debitoria, in ragione della proporzione millesimale.
Per contro, se quest'ultimo fosse da annoverare tra i condòmini virtuosi – siccome rientrante nel novero di chi aveva già corrisposto la propria quota parte, a chi di dovere - il suo patrimonio, a norma di legge, potrebbe essere escusso solo dietro prova, da parte del creditore procedente, di aver già fatto altrettanto, ma vanamente, nei confronti dei morosi.
È proprio qui che sta il rilievo del provvedimento romano.
Il giudice capitolino ritiene che, per il creditore procedente, non sia sufficiente offrire in comunicazione la documentazione attestante l'apertura di un procedimento di sovraindebitamento da parte dei condòmini morosi. Altrettanto inuitile sarebbe la produzione di un atto di intervento in seno ad una procedura esecutiva immobiliare già intenta da parte di creditori muniti di titolo privilegiato nei confronti dei citati “comuni” debitori.
In altri termini, offrire in comunicazione tali atti e documenti è ben lungi dal soddisfare la prova dell'incapienza dei morosi e non è in grado di rendere applicabile il principio della cosiddetta “solidarietà sussidiaria”. Occorre dimostrare di più (per scongiurare anche una esosa condanna alle spese processuali – come avvenuta nel caso in specie -).
Il creditore, nello specifico, è tenuto a provare – per come si legge in sentenza (anche richiamandosi un arresto della Suprema Corte di Cassazione (12175/2019) - di aver aderito ai procedimenti in questione e di non aver potuto conseguire, al termine dei medesimi, i danari sufficienti per soddisfare il proprio credito, in tutto o in parte.

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