Condominio

Il costruttore non paga le spese se lo prevede il regolamento contrattuale

di Valeria Sibilio

Il pagamento delle quote condominiali, necessarie per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio e per l'erogazione dei servizi, è uno dei doveri ai quali il condòmino è sottoposto. Tuttavia, se i criteri di riparto degli oneri sono in contrasto con il regolamento condominiale, il condomino può esimersi dal pagamento. Come accade con il classico caso dell’impresa costruttrice che si riserva di non parteciparere alle spese condominiali sinché non sia stato venduto l’ultimo appartamento. Lo afferma la sentenza 19832/2019 nella quale la Cassazione ha esaminato un caso originato dal rigetto, da parte del Tribunale di Catania, dell'appello proposto da un condominio contro la sentenza del Giudice di Pace e nei confronti della società proprietaria di diversi immobili condominiali.
In primo grado, il condominio aveva intimato la società a pagare euro 4.799,48 a titolo di oneri condominiali, come da delibera datata 27 maggio 2012. Il Tribunale aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere per alcune delle unità immobiliari della società, condannandola a pagare solo euro 272,56.
Il giudice d'appello, ritenendo che la delibera condominiale del 27 maggio 2012 fosse nulla, in quanto, a maggioranza, aveva previsto criteri di riparto degli oneri in contrasto con il regolamento condominiale, aveva dichiarato ammissibile l'opposizione della società al decreto ingiuntivo, ritenendo invece valida la clausola, prevista dal regolamento condominiale richiamato nei contratti di acquisto dei singoli condòmini, che esonerava la società dal pagamento degli oneri condominiali su tutte le unità immobiliari di sua proprietà rimaste invendute, se non utilizzate.
Il condominio ricorreva in Cassazione sulla base di due motivi, ai quali resisteva la società. Con il primo motivo il Condominio contestava l'ammissibilità dell'opposizione al decreto ingiuntivo, a fronte della mancata impugnazione della delibera 27 maggio 2012 sulla quale il decreto ingiuntivo era fondato. Una doglianza ritenuta, dagli ermellini, priva di fondamento, in quanto tale delibera è risultata palesemente nulla, avendo modificato il criterio convenzionale di riparto delle spese condominiali a maggioranza e non all'unanimità. La Suprema Corte ha precisato che sono nulle, per impossibilità dell'oggetto, le deliberazioni dell'assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell'organo collegiale.
Con il secondo motivo, per il ricorrente, la clausola di esonero avrebbe prodotto uno squilibrio tra i condòmini, con un conseguente indebito arricchimento del costruttore, che, tra l'altro, era uno dei condòmini. Una doglianza ritenuta inammissibile in quanto le norme del Codice del consumo sono applicabili alle convenzioni di ripartizione delle spese condominiali predisposte dal costruttore, o dall'originario unico proprietario dell'edificio condominiale, in quanto oggettivamente ricollegabili all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale svolta, e sempre che il condòmino acquirente dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva rivesta lo status di consumatore, agendo per soddisfare esigenze di natura personale, non legate allo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale. Inammissibile, anche, la presunta questione dell'arricchimento indebito della società, non essendo stata trattata dal tribunale e non prospettata, dal ricorrente, nel giudizio di appello.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando il Condominio al rimborso, in favore della società, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 1.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

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