Condominio

Affitti concordati con il rebus del rinnovo dopo il triennio

di Ladislao Kowalski

L’interpretazione autentica del decreto crescita in tema di rinnovo dei contratti di locazione convenzionati è utile, ma non risolve tutti i dubbi.

L’articolo 19-bis del Dl 34/2019 (convertito dalla legge 58/2019) chiarisce che, allo scadere del periodo di proroga biennale di un contratto a canone concordato, scatta il rinnovo di due anni in due anni, a meno che non intervenga la disdetta ( si veda il Quotidiano del Sole 24 Ore - Condominio del 3 luglio scorso ). La precisazione toglie ogni incertezza su ciò che accade generalmente al termine del quinto anno di contratto – dopo un classico “3+2” – quando nessuna delle due parti abbia inviato la comunicazione per chiedere il rinnovo del contratto a nuove condizioni o per rinunciarvi. Ma, ricordiamo, potrebbe anche trattarsi del sesto anno nel caso di un “4+2”, del settimo anno con un “5+2” e così via, perché le parti possono concordare durate più lunghe (e spesso le intese locali ne incentivano la stipula).

La prima scadenza del «3+2»

Resta qualche incertezza, invece, su ciò che accade alla fine del primo periodo contrattuale. L’articolo 2, comma 5, della legge 431/1998 al secondo periodo afferma che, «ove le parti non concordino sul rinnovo» il contratto «è prorogato di diritto per due anni», fatta salva la possibilità di disdetta da parte del locatore nei casi individuati dalla stessa legge (all’articolo 3).

La diffusa opinione generale è che, nel silenzio delle parti, il contratto dopo la prima scadenza prosegua per altri due anni. Sul punto, però, è intervenuta una pronuncia della Cassazione (16279/2016). Valorizzando il testo della disposizione, i giudici affermano che, a fronte dell’inattività delle parti, il contratto cessa. Il decisum – per ora unico e non confermato da altre pronunce – si basa su un’interpretazione letterale: in effetti, da un’attenta lettura della norma si può ricavarne che, per la prima scadenza , non è previsto il rinnovo automatico laddove, invece, è espressamente citato per la scadenza del biennio.

Di fatto, secondo la Cassazione, alla prima scadenza si possono verificare le seguenti diverse situazioni:

1. il locatore può negare la proroga biennale con la comunicazione di diniego di rinnovo motivata dai casi previsti dall’articolo 3 già citato (il conduttore, invece, conserva sempre la possibilità di recedere per gravi motivi con preavviso di sei mesi);

2. il conduttore o il locatore può intavolare la trattativa per il rinnovo del contratto: se la trattativa va a buon fine, il contratto sarà rinnovato e quindi “ripartirà” un nuovo “3+2”; se, invece, non va a buon fine, si ricade nell’ipotesi di legge e scatta la proroga biennale;

3. nessuna delle due parti aziona la procedura per il rinnovo né chiede la disdetta: a questo punto, secondo la Cassazione, il contratto cessa in virtù della norma generale contenuta nell’articolo 1596 del Codice civile (la locazione per un tempo determinato cessa con lo spirare del termine senza che sia necessaria disdetta).

Quindi, in quest’ultima ipotesi, il locatore potrebbe far valere l’avvenuta cessazione del contratto. Attenzione, però: vale anche l’altra norma generale del successivo articolo 1597 per cui «la locazione si ha per rinnovata se, scaduto il termine di essa, il conduttore rimane ed è lasciato nella detenzione della cosa locata». Pertanto, secondo il collegio, se dopo la prima scadenza contrattuale il conduttore è lasciato nella detenzione dell’immobile a fronte del pagamento del canone, c’è una «rinnovazione» del rapporto. Quindi un nuovo “3+2”.

Il rinnovo dei «4+4»

Il decreto crescita non si occupa dei contratti ordinari “4+4”, che meritano un approfondimento rispetto alla seconda scadenza (ottavo anno).

Alla prima scadenza contrattuale di tali rapporti il locatore ha l’obbligo di rinnovare lo stesso per pari periodo. Può denegare la prosecuzione solo per i cosiddetti casi di necessità indicati dal già citato articolo 3 della legge 431/1998 (ad esempio, usare la casa locata come propra abitazione). Comunque, non sorgono problemi interpretativi: senza disdetta, il contratto è rinnovato per altri quattro anni. Al termine del secondo quadriennio, se il contratto si rinnova tacitamente, quale sarà la sua durata? solo “4” anni oppure “4+4”, cioè con la riproposizione - al dodicesimo anno - degli stessi limiti alla disdetta già visti in occasione del quarto anno?

Anche qui è intervenuta la Cassazione (1881/2016) stabilendo che la previsione normativa di rinnovo quadriennale avrà valore solo per i quattro anni. Escluso, quindi, un rinnovo di “4+4”.

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