Condominio

Cade in cortile, risarcimento a metà: doveva stare più attento

di Selene Pascasi

Risarcimento negato al parente di uno dei condòmini caduto sul pavimento del cortile comune. Frequentando lo stabile, avrebbe dovuto conoscerne bene le condizioni e prestare maggiore attenzione. Lo afferma la Corte di cassazione con ordinanza n. 18319 del 9 luglio 2019 (relatore Moscarini) . Protagonista della lite, suo malgrado, è una signora che, recandosi a far visita alla figlia, scivola rovinosamente a terra inciampando in una delle buche che dissestavano da tempo la corte. Insidie, peraltro, neppure segnalate e non facilmente visibili di notte per assenza di illuminazione. Di qui, la pretesa rivolta al condominio di essere risarcita sia del danno biologico che di quello esistenziale.
Domanda che il tribunale accoglie solo a metà, condannandolo – per omesso controllo, vigilanza e custodia delle parti comuni – a rifonderle quasi 20 mila euro per spese mediche e danno fisico. Esclusa, invece, l'altra voce di danno. La donna non si arrende e propone appello per ottenere una vittoria a tutto tondo ma l'iniziativa le si ritorce contro: la Corte ribalta le sorti della causa e le “strappa” di mano anche il danno biologico. Secondo una consolidata giurisprudenza, spiega il collegio, per ottenere i risarcimenti occorre dimostrare (lo prevede l'articolo 2051 del Codice civile sulla responsabilità da cose custodite) le condizioni di pericolosità del luogo.
Nella vicenda, però, essendo il pavimento costituito da lastroni quadrati e risultando adeguate le condizioni di visibilità, non poteva dirsi assunta alcuna prova del nesso causale tra l'incidente (caduta) e la cosa (pavimento) custodita dal condominio. Di contro, v'era il caso fortuito ossia la distrazione della danneggiata che «conosceva o doveva conoscere lo stato dei luoghi, per essere il condominio luogo di abitazione della figlia». Niente da fare. La soluzione adottata in appello non la convince e il caso arriva in cassazione.
La pronuncia di secondo grado, marca la ricorrente, non aveva considerato un dato a suo avviso basilare: la responsabilità per danni da cose in custodia configura una responsabilità per danni conseguenti al dinamismo proprio ed intrinseco della cosa, dipendente dall'insorgere nella stessa di un processo dannoso. Ecco che, a fronte di una fattispecie come quella disciplinata dall'articolo 2051 del Codice civile – che disegna una responsabilità di tipo oggettivo basata sul mero rapporto di custodia – la sentenza di appello non si sarebbe fatta carico di raggiungere la prova del caso fortuito che sola avrebbe potuto scriminare la responsabilità del custode.
Tesi anche questa bocciata dai giudici di legittimità. La decisione impugnata, spiega la Suprema Corte, aveva correttamente applicato la disposizione che, presupponendo una responsabilità di tipo oggettivo, richiede la prova congiunta del fatto dannoso e del nesso causale tra il danno e il bene custodito. Sistema, questo, nel quale il custode può sfuggire da ogni responsabilità solo nell'ipotesi di caso fortuito. Tuttavia, nella vicenda, v'era totale mancanza di prova del nesso di causalità tra il bene e il danno, non essendo risultate le condizioni dei luoghi «tali da costituire una pericolosità intrinseca della cosa». Conseguentemente, la responsabilità del condominio non poteva dirsi configurabile. Su queste basi, ad esempio, la cassazione (sentenza 7125/2013) annullò con rinvio la pronuncia di merito con cui veniva respinta l'istanza risarcitoria proposta da un uomo che, provato l'evento dannoso (caduta dallo scalone monumentale dell'edificio) e le sue condizioni pericolose (scala di per sé scivolosa per conformazione curvilinea e gradini in pietra lucida) non aveva dimostrato che a cagionare l'infortunio fosse stata l'assenza di presidi antinfortunistici (eventuale presenza di scorrimano e antisdrucciolo sulla pedana degli scalini). Ed è anche noto, che l'imprudenza di chi reclami i danni scriminerà il custode se il danneggiato non ponga in essere – pur essendo pienamente in condizioni di farlo (Cassazione 56/2016) – le dovute cautele nell'uso della cosa. Un quadro logico e normativo coerente, dunque, quello che ha indotto la cassazione a dichiarare l'inammissibilità del ricorso formulato dalla madre della condomina, chiudendo definitivamente la partita risarcitoria.

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