Condominio

Rischia chi si tuffa in piscina

di Donato Palombella


Un avventore cita in giudizio il titolare di un agriturismo in quanto, tuffandosi in piscina, avrebbe battuto sul fondo della vasca, a suo dire di profondità inferiore a quella ordinaria. La domanda si poggia su una duplice alternativa: violazione dell'articolo 2050 codice civile ovvero dell'articolo 2043 codice civile. La questione è di grande interesse perché le regole che deve osservare l’amministratore per le piscine condominialli sono di fatto le stesse.
L'articolo 2050 cod. civ. prevede che "Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno."
L'articolo 2043 codice civile, dal suo canto, recita testualmente "Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno."

La difesa del gestore
Il gestore dell'agriturismo si difende sostenendo che erano presenti cartelli che vietavano i tuffi nella piscina e nessuno degli altri avventori avevano denunciato, in precedenza, simili incidenti. In altre parole, la responsabilità dell'evento era da addebitare esclusivamente al cliente che avrebbe violato i cartelli che vietavano i tuffi in piscina. Ad ogni buon conto, chiamava in causa la propria assicurazione.

Giudizio a fasi alterne
Il giudizio di merito si svolge a fasi alterne; il Tribunale di Firenze, accerta la responsabilità del gestore ai sensi dell'articolo 2043 codice civile ma, salomonicamente, riconosce un concorso di colposo al cliente sfortunato nei cui confronti viene comunque riconosciuto un risarcimento di oltre 13.500 euro. E l'assicurazione? La compagnia viene estromessa in quanto sarebbe mancata una polizza con l'Azienda. La Corte d'appello cambia rotta e condanna il tuffatore incauto non solo a restituire quanto percepito come risarcimento, ma al pagamento delle spese legali nei confronti della controparte.

Il caso finisce in Cassazione
Il cliente non si arrende e la causa finisce in cassazione. La difesa sembra agguerrita, propone ben sei motivi di impugnazione che vengono tutti rigettati dalla terza Sezione della Cassazione che chiude il caso con l'ordinanza del 13 giugno 2019 n. 15880. A prescindere dalle presunte criticità procedurali sollevate dal ricorrente, che comunque non convincono i giudici romani, il punto focale del ricorso in cassazione riguarda la domanda di risarcimento del danno contrattuale.

Vietato cambiare prospettiva
Per comprendere l'esito del ricorso, occorre fare un passo indietro, al momento in cui il danneggiato aveva avanzato la propria richiesta. Nell'occasione, la domanda di risarcimento si poggiava su un duplice presupposto alternativo, di natura extracontrattuale: il risarcimento del danno derivante dall'esercizio di una attività pericolosa (articolo 2050 cod. civ.) ovvero il risarcimento del danno derivante da fatto colposo o doloso.
In cassazione il danneggiato cambia totalmente rotta e "si inventa" una richiesta di risarcimento danni derivante dal rapporto contrattuale tra il cliente e l'azienda agrituristica. Ovvio che la Cassazione abbia rigettato il ricorso in quanto, la domanda risarcitoria si fondava su elementi totalmente diversi da quelli esposti in partenza. Detto in altre parole, la cassazione ha rigettato il ricorso per quello che sembra un errore procedurale.

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