Condominio

Gli insulti in condominio diventano minaccia aggravata

di Giulio Benedetti

Commette il reato di minaccia aggravata il condòmino che aggredisce verbalmente l’amministratore.

La coabitazione nel condominio tra amministrati e amministratore non sempre è idilliaca e occorre delineare i limiti giuridici intercorrenti tra una civile discussione , anche contrastata , e gli estremi di un reato. La Corte di Cassazione (sentenza 19702/2019) ha dettato principi interpretativi sul punto ed ha dichiarato inammissibile il ricorso di una condòmina nei confronti di una sentenza che la aveva condannata per il reato di minaccia aggravata, commessa nei confronti di un’altra condòmina e dell’amministratrice del condominio.

Le offese

In particolare le due persone offese, mentre si trovavano nella loro abitazione (nel condominio in cui vive anche l’imputata), la sentivano urlare in direzione dell’amministratrice la frase «questa è una ladra, questa la deve pagare, la porto in tribunale, deve avere paura». In una successiva occasione le persone offese sentivano urlare l’imputata nei confronti dell’amministratrice le seguenti frasi: «la levo davanti, prima che te ne vai ti devo uccidere … questa fa la padrona del condominio, deve smetterla, io ho gli stessi millesimi... metterò una bomba, farò saltare in aria tutte le (...)».

L’imputata, nel suo ricorso, affermava che non sussisteva il reato di minaccia grave, perché le frasi predette non erano idonee a intimidire le persone offese, a causa della loro inverosomiglianza ed eccessività. La Corte di Cassazione , invece, afferma che le sue frasi consistono nella prospettazione di un male futuro, il cui avverarsi dipende dalla sua volontà e sono idonee a turbare psicologicamente le persone offese, ovvero ad intimidirle. La Corte di appello ha quindi correttamente ravvisato in tali frasi il reato di minaccia aggravata, poiché le stesse promettevano alle persone offese il male futuro di morte, con l’esplicito riferimento all’uso di una bomba. La gravità della minaccia riguarda il turbamento psichico che l’atto intimidatorio può cagionare e, per valutarne la gravità, i criteri sono costituiti dal tenore delle espressioni verbali e dal contesto in cui sono state pronunciate.

Il contesto

Il giudice deve porre a fondamento della sua sentenza la valutazione del grado in cui le minacce abbiano ingenerato timore o turbamento alla persona offesa. A tali parametri si è attenuto il giudice che li ha calati nella vicenda trattata, poiché la minaccia è stata la modalità con la quale l’imputata ha manifestato il suo astio verso l’altra condòmina e l’amministratrice del condominio , in cui l’imputata abitava, in un contesto tranquillo che in quel momento non era connotato da alcuna animosità tra le parti e che potesse fare da sfondo ad un confronto acceso.

La Corte d’Appello ha osservato che l’imputata non si trovava in una situazione che potesse giustificare il tono estremamente aggressivo delle frasi. Pertanto la condotta illecita dell’imputata era ispirata all’intento di sfogarsi pubblicamente con un atteggiamento di pesante e aggressiva contestazione, quindi del tutto ingiustificabile.

L’idoneità delle frasi ad integrare la minaccia deve valutarsi al momento della loro pronuncia e tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, poiché il reo non può mai avvantaggiarsi della particolare forza d’animo della persona offesa.

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