Condominio

Alla delibera sulla lite giudiziaria il condomino controparte può partecipare?

di Paolo Accoti

Alla delibera per il promovimento di una controversia giudiziaria il condomino controparte ha diritto a partecipare?

Nelle liti tra condominio e condomino - la cui posizione è assimilabile in questo caso ad un terzo - la compagine condominiale viene a scindersi per dar vita a due centri di imputazione di interessi diversi e distinti, pertanto, il condomino che subisce una pretesa dal condominio, si dissocia dall’interesse comune e dà vita ad un proprio interesse in contrasto con quello del condominio (Tra le tante: Cass. n. 13885/2014; Cass. n. 801/1970).

Tanto è vero che, in questi casi, il condomino portatore di un interesse contrapposto a quello del condominio resta escluso dalla partecipazione alle spese di lite del condominio, proprio perché queste non sono destinate alla tutela del suo diritto, ma del gruppo di condòmini contrapposto (cfr.: Cass. n. 13885/2014; Cass. n. 4259/2018).

Vi è da chiedersi se, in tali casi, l’omessa, tardiva o incompleta convocazione, ai sensi del vigente art. 66, comma 3, disp. att. Cc, del condomino contrapposto, legittima lo stesso ad impugnare la relativa deliberazione.

La questione non è di poco conto, tanto è vero che, recentemente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14557, depositata in data 28 maggio 2019, ha rimesso la questione al Collegio , in pubblica udienza, non condividendo la proposta del relatore di definibilità della questione nelle forme di cui all’art. 380-bis Cpc, in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), Cpc e, pertanto, con ordinanza in camera di consiglio, non partecipata dagli avvocati.

In sintesi, la vicenda giudiziaria finita dinnanzi alla Suprema Corte registrava l’impugnativa di una delibera condominiale, avente ad oggetto l’autorizzazione ad agire giudizialmente nei confronti di un condomino, al fine di far cessare l’attività di affittacamere e pensione svolta nei locali di proprietà dello stesso.

Quest’ultimo, come detto, impugnava dinnanzi al Tribunale di Firenze la predetta delibera lamentandosi della tardiva convocazione.

Il Tribunale rigettava l’impugnativa, in considerazione del fatto che, pur in presenza della intempestiva convocazione, il condomino non aveva interesse ad agire per impugnare la delibera, siccome approvata all’unanimità.

Tuttavia, a seguito del gravame interposto dal condomino, la Corte d’Appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, annullava la deliberazione attesa la tardiva convocazione del condomino appellante.

A tal proposito, il Giudice d’appello, evidenziando come l’interesse del condomino alla rimozione di una delibera contraria alla legge era da ritenersi comunque sussistente.

Come detto, tale sentenza veniva impugnata dal condominio dinnanzi alla Suprema Corte, per violazione e falsa applicazione dell’art. 136, comma 6, Cc, dell’art. 66, comma 3, disp. att. Cc e dell’art. 100 Cpc e, quindi, per difetto di interesse ad agire da parte del condominio nella fattispecie concreta.

Il Relatore della Corte di Cassazione, dott. A. Scarpa, riteneva che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza e, pertanto, configurando la possibile definizione dello stesso con ordinanza in camera di consiglio.

Il Collegio, tuttavia, si dimostra di contrario avviso, non ritenendo sussistere l’ipotesi di manifesta fondatezza.

La questione di fondo è quella per cui, «se, in ipotesi di deliberazione assembleare volta ad approvare il promovimento di una controversia giudiziaria tra il condominio e un singolo condomino, venendosi la compagine condominiale a scindere di fronte al particolare oggetto della lite in base ai contrapposti interessi, sussista, o meno, il diritto del singolo, controparte dei restanti condomini, a partecipare all’assemblea, e, quindi, la legittimazione del medesimo a domandare l’annullamento della delibera per omessa, tardiva o incompleta convocazione, ai sensi del vigente art. 66, comma 3, disp. att. c.c.».

A tal proposito, come detto, la questione potrebbe risultare più complessa di quanto appare, tant’è vero che il medesimo Collegio rinvia a nuovo ruolo la causa e rimette la decisione in pubblica udienza.

L’argomento rientra nella più vasta problematica del cd. conflitto di interessi, atteso che l’interesse del condominio, nella sua interezza, sicuramente risulta in contrasto con quello del condomino o dei condòmini controparti nell’eventuale giudizio.

A tal proposito, tuttavia, dopo un iniziale contrapposizione in relazione all’applicabilità o meno delle norme dettate in materia societaria - sullo specifico punto - al condominio, la Suprema Corte si è decisamente orientata, con un indirizzo consolidatosi nel tempo, nel senso di ritenere che le maggioranze previste ai fini dell’approvazione delle delibere assembleari risultano assolutamente inderogabili e che, quindi, entrambi i quorum, quelli costitutivo e quello deliberativo, devono necessariamente formarsi in relazione a tutti i partecipanti al condominio ed al valore dell’intero edificio, pertanto, anche conteggiando il condomino in conflitto di interessi.

Gli stessi, peraltro, non sono affatto obbligati ad astenersi, tuttavia, qualora optassero per esprimere il proprio diritto al voto, in caso di impugnativa della delibera occorrerebbe procedere alla cd. prova di resistenza, vale a dire verificare se il voto del condomino in conflitto di interessi sia stato determinante per l’approvazione della deliberazione (In tal senso: Cass. n. 1201/2002; Cass. n. 19131/2015; Cass. n. 2026/2017; Cass. n. 1835/2018).

Ed allora, se il condomino in conflitto di interessi ha diritto a partecipare all’assemblea, di conseguenza dovrebbe venire semplice ritenere che in caso di difetto di convocazione la delibera risulterebbe impugnabile, ed il condomino, pertanto, avrebbe tutto l’interesse ad impugnarla, così come ritenuto dal Relatore.

Ad ogni modo attendiamo l’esito del giudizio in pubblica udienza per sapere se la Corte di Cassazione ha deciso, nuovamente, di discostarsi dai menzionati principi.

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