Condominio

Affitto, la morosità va misurata sul ritardo effettivo e sulla quantità di denaro dovuto

di Marco Panzarella e Matteo Rezzonico

L'articolo 5 della Legge 392 del 1978, secondo cui «... il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'articolo 1455 del Codice Civile», continua a predeterminare - anche nel regime della Legge 431/1998 - la gravità dell'inadempimento ancorandolo a due parametri: l'uno quantitativo, connesso all'ammontare della morosità; l'altro temporale, connesso al termine massimo di venti giorni entro cui provvedere al pagamento dei canoni e delle spese. Resta fermo che, il conduttore moroso può chiedere giudizialmente termine di grazia a norma dell'articolo 55 della richiamata Legge 392, per il quale «...la morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all'articolo 5 può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza versa l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice».
Nel caso in cui il conduttore moroso – che abbia chiesto termine di grazia - non sani completamente il suo debito, versando anche gli interessi e le spese processuali liquidate in sede di concessione del termine di grazia, alla successiva udienza di verifica il giudice è tenuto a pronunciare la convalida, senza necessità di verifica della residua inadempienza, trattandosi di termine perentorio (salvo opposizione dell'inquilino, nel qual caso deciderà con sentenza a seguito di conversione del rito). Senonché anche il mancato pagamento delle spese legali e degli interessi sui canoni e sulle spese accessorie, giustifica la pronuncia di risoluzione del contratto d'affitto e il rilascio dell'immobile locato. Lo ha ribadito il Tribunale di Milano con la sentenza n. 1510 del 13 febbraio 2019 . Nel caso in oggetto, a fine giugno 2016 una società immobiliare concede in affitto un immobile di sua proprietà, con il conduttore che non paga il canone di locazione, accumulando al gennaio dell'anno successivo un debito di oltre 2.700 euro (articolo 658 del Codice di Procedura Civile). Nel marzo 2018 il proprietario chiede al giudice lo sfratto e l'emissione di un decreto ingiuntivo. Successivamente, l'inquilino salda il debito relativo a canoni e spese, omettendo le spese giudiziali liquidate in sede di concessione del termine di grazia, pari a 363 euro, oltre oneri. Il Tribunale meneghino dichiara quindi risolto il contratto di locazione per grave inadempimento imputabile al conduttore, condannando quest'ultimo a rilasciare l'immobile, pagare gli interessi legali maturati sulla morosità e le spese di lite. Per il Tribunale infatti «...laddove il conduttore non sani - nel termine assegnato dal giudice - la morosità pregressa intimata, gli interessi e le spese processuali liquidate in sede di concessione del termine di grazia, alla successiva udienza di verifica il giudice è tenuto ad emettere ordinanza di convalida, senza necessità di verifica della residua inadempienza, trattandosi di termine perentorio (cfr. Cassazione 5540/2012; Cassazione 920/2013)». Nel caso in oggetto, all'udienza del 4 ottobre 2018 l'intimante ha dichiarato che “l'intimata ha saldato il capitale di cui all'intimazione, nulla versando per interessi e spese liquidate”, in ciò dovendosi ravvisare l'inadempimento che giustifica la pronuncia di risoluzione del contratto, con la conseguente necessità di ordinare il rilascio dell'immobile locato».

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