Condominio

Non si può invocare il «decoro architettonico» se è già stato compromesso

di Paolo Accoti

Nessuna lesione del decoro architettonico se questo è già stato compromesso da precedenti interventi.
Nel silenzio normativo sulla nozione di decoro architettonico, anche dopo la riforma della materia condominiale, la continua opera esegetica della giurisprudenza e della dottrina ha portato a definire il decoro architettonico come l'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono l'estetica dell'edificio condominiale, segnando al contempo la sua armoniosa fisionomia (si vedano: Cass. n. 8731/98; Cass. n. 16098/03).
Nello stesso senso, la più recente dottrina ha stimato che con tale termine si deve intendere <<l'estetica del fabbricato quale risultante dell'intreccio tra le linee e le strutture che contrassegnano l'edificio, assicurandogli una fisionomia ed eventualmente un'armonia estetica. Estetica che invero è propria di qualsiasi edificio a prescindere dal pregio artistico e che comunque non prescinde da un giudizio di valore, cui piuttosto inevitabilmente si presta. Infatti, l'estetica di un edificio concorre a determinare il valore …>> (R. Triola, Il Nuovo Condominio, II edizione, Giappichelli, 2017).
Fermo restando che il regolamento condominiale di origine contrattuale ovvero quello adottato all'unanimità dei partecipanti al condominio, ben può imporre una interpretazione più restrittiva del predetto concetto di decoro architettonico.
Alla tutela del decoro architettonico sovraintende l'amministratore di condominio il quale, ai sensi dell'art. 1130, n. 4, Cc, è tenuto a porre in essere tutti quegli atti conservativi posti a tutela della cosa comune, tra cui rientrano a pieno titolo anche le azioni a salvaguardia dell'estetica dell'edificio condominiale.
Tuttavia, qualora l'immobile in condominio sia stato già interessato ad opere che hanno inciso e alterato il decoro architettonico dello stesso e per le quali non si è preteso il ripristino, alcuna tutela giudiziaria può essere concessa in relazione al nuovo intervento lesivo.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, nella recente sentenza n. 10583, pubblicata in data 16 Aprile 2019.
La stessa, infatti, preso atto dell'accertamento effettuato dalle Corti di merito in relazione al degrado dell'edificio, in precedenza interessato ad opere lesive del decoro dello stesso, ha confermato il principio per cui <<cfr. Cass. 26.2.2009, n. 4679, secondo cui, in tema di condominio, non può avere incidenza lesiva del decoro architettonico di un edificio un'opera modificativa compiuta da un condomino, quando sussista degrado di detto decoro a causa di preesistenti interventi modificativi di cui non sia stato preteso il ripristino; Cass. 10.12.2014, n. 26055; Cass. 17.10.2007, n. 21835, secondo cui, nel condominio degli edifici, la lesività estetica dell'opera abusivamente compiuta da uno dei condomini - che costituisca l'unico contestato profilo di illegittimità dell'opera stessa - non può assumere rilievo in presenza di una già grave evidente compromissione del decoro architettonico dovuto a precedenti interventi sull'immobile; Cass. 29.7.1989, n. 3549, secondo cui, al fine di stabilire se le opere modificatrici della cosa comune abbiano pregiudicato il decoro architettonico di un fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui quest'ultimo si trovava prima della esecuzione delle opere stesse, con la conseguenza che una modifica non può essere ritenuta pregiudizievole per il decoro architettonico se apportata ad un edificio la cui estetica era stata già menomata a seguito di precedenti lavori.>>.
Anche la giurisprudenza di merito è attestata sulle stesse posizioni, avendo avuto modo di affermare come <<nella valutazione della incidenza sul decoro architettonico di un'opera modificativa di un edificio non puo' essere ignorata la eventuale situazione di degrado di detto decoro per preesistenti modificazioni per le quali non sia stato esercitato il diritto a pretendere il ripristino>> (Trib. Ascoli Piceno, 14.11.2017; Trib. Bari, 9.07.2015).
Utile ricordare, tuttavia, che il concetto di decoro architettonico larvatamente indicato dall'art. 1120 Cc (<<I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. … Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.>>), risulta differente da quello tutelato dall'art. 1127 Cc, in materia di sopraelevazione all'ultimo piano dell'edificio.
A tal proposito, infatti, valga il principio per cui <<L'aspetto architettonico, cui si riferisce l'art. 1127, comma 3, c.c., quale limite alle sopraelevazioni, sottende, peraltro, una nozione sicuramente diversa da quella di decoro architettonico, contemplata dagli artt. 1120, comma 4, 1122, comma 1, e 1122-bis c.c., dovendo l'intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l'originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore. Il giudizio relativo all'impatto della sopraelevazione sull'aspetto architettonico dell'edificio va condotto, in ogni modo, esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell'immobile condominiale, e verificando l'esistenza di un danno economico valutabile, mediante indagine di fatto demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se, come nel caso in esame, congruamente motivato (cfr. Cass. Sez. 6-2, 28/06/2017, n. 16258; Cass. Sez. 2, 15/11/2016, n. 23256; Cass. Sez. 2, 24/04/2013, n. 10048; Cass. Sez. 2, 07/02/2008, n. 2865; Cass. Sez. 2, 22/01/2004, n. 1025; Cass. Sez. 2, 27/04/1989, n. 1947).>> (Cass. n. 22156/2018), reso nell'ambito di un giudizio in cui è stato ritenuto violato l'aspetto architettonico dell'edificio dall'edificazione di una veranda.
Tanto a prescindere sia dal particolare valore artistico dell'edificio, che dalla circostanza per la quale la fisionomia dello stabile fosse stata già rovinata da preesistenti modifiche - fatto salvo l'evidente degrado complessivo tale da rendere insignificante alla visione ogni ulteriore intervento -, essendo sufficiente per ritenere illegittimità l'opera in sopraelevazione che l'edificio sia dotato di una propria fisionomia e che l'opera realizzata sull'ultimo piano comporti una chiara sensazione di disarmonia.

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