Condominio

Conti truccati? Per l’amministratore è appropriazione indebita, anche ante 2012

di Giulio Benedetti

Commette appropriazione indebita l'amministratore che trucca i conti del condominio.
La dottrina precedente alla riforma del condominio (legge n. 220/2012) affermava che l'amministratore violava il principio di trasparenza dei conti condominiali attraverso l'utilizzo del conto corrente personale per farvi confluire tutti i conti, in modo da creare una confusione contabile la quale rendeva impossibile la ricostruzione delle poste di ogni singolo condominio. Tale condotta, oltre ad avere evidenti ricadute fiscali, perché non è distinguibile il patrimonio personale dell'amministratore dai conti condominiali amministrati, viola il principio di di diligenza del mandatario ( ovvero l'amministratore condominiale) il quale , per gli artt. 1710 e 1713 c.c. , deve eseguire il contratto con la diligenza del buon padre di famiglia e deve rendere conto del suo operato al mandante e deve rimettere al condominio tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato.
Dopo la riforma (legge 220/2012) l’articolo 1129 c.c. obbliga l'amministratore di fare transitare le somme ricevute a qualsiasi titolo dai condomini o da terzi e quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condomino su di un conto corrente intestato al condominio, di cui ciascun condòmino può chiedere di prenderne visione di estrarre copia dei relativi documenti. Tuttavia la commistione tra i conti personali dell'amministratore e quelli dei condomini comporta per il primo una responsabilità penale.
È il caso trattato dalla Corte di Cassazione (sent. n. 17471/2019) che ha dichiarato inammissibile il ricorso di una amministratore condominiale avverso una sentenza la quale lo aveva condannato per i reati di appropriazione indebita e di truffa commessi in danno di alcuni condòmini dallo stesso amministrati.
La Corte di Cassazione (anche se dichiarava prescritti i reati , pur confermando la condanna al risarcimento del danno) confermava il giudizio di condanna per detti reati, poiché l'amministratore si appropriava delle somme di denaro del condominio , nella sua disponibilità, e attuava diversi artifici , consistiti nell'addebito di spese non riferibili al condominio , ovvero per importi maggiori di quelli dovuti , in modo che i condòmini, indotti in errore, gli corrispondevano le somme richieste, ma non dovute. L'amministratore nel suo ricorso protestava per la sua condanna in quanto, nella sentenza, il reato di appropriazione indebita gli veniva riferito per la violazione degli obblighi di diligenza previsti dalla nuova formulazione dell'art. 1129 c.c., non ancora vigente all'epoca dei fatti. Per la difesa la formulazione di tali obblighi di diligenza assumeva , nella sentenza di condanna , rilevanza penale, in quanto integrante la norma penale. Per il ricorrente all'epoca dei fatti vigeva il principio della tendenziale libertà dell'amministrazione condominiale, la quale consentiva all'amministratore l'utilizzo di diversi conti correnti , anche appartenenti ad altri condomini o anche personali , per l'amministrazione degli immobili. Quindi per l'amministratore solo con l'entrata in vigore della legge n. 220/2012 il riformato articolo 1129 c.c. ha previsto l'obbligo per l 'amministratore del condominio di fare transitare le somme ricevute su uno specifico conto corrente intestato al condominio. Inoltre il ricorrente sosteneva che , all'epoca dei fatti, il codice civile non gli imponeva di tenere scritture contabili e di consegnare la documentazione contabile ai condòmini.
La Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso, non solo poiché riproponeva al giudice di legittimità l'esame di questioni di merito, già esposte nel ricorso in appello, ma anche in quanto la Corte di Appello aveva accertato che l'amministratore, in possesso del denaro dei condòmini, non lo aveva amministrato con trasparenza in quanto gli era precluso “finalizzare le casse condominiali a una destinazione incompatibile con il titolo giustificativo del loro possesso”. La Corte di Cassazione condivideva le affermazioni del giudice di appello per cui il predetto obbligo di trasparenza comporta il divieto di utilizzare il denaro per scopi differenti a cui era destinato, ovvero nell'interesse del condominio. Pertanto comporta la realizzazione del reato di appropriazione indebita la condotta dell'amministratore che utilizzi dette somme di un condominio per pagare un proprio debito personale , o quelle di un altro condominio, anche se l'ammanco è solo temporaneo ed è ripianabile con il tempo attraverso una sorta di graduale processo osmotico tra le diverse casse condominiali . La Corte di appello afferma il principio per cui l'imprescindibile tracciabilità della destinazione dei fondi , costituiti dalle rate condominiali, rappresenta il mezzo indispensabile per controllare l'aderenza dell'amministratore all'incarico ricevuto.

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