Condominio

Il divieto di sopraelevazione non vale per gli alberi che crescendo coprono la vista

di Edoardo Valentino

La clausola di non sopraelevazione è operativa solamente nei confronti degli edifici e non vale anche, estensivamente, per gli alberi condominiali.
Due condòmini agivano in giudizio al fine di ottenere la rimozione di alcuni alberi i quali, siti nel giardino condominiale, erano cresciuti sino a superare il livello delle loro finestre e quindi impedivano loro la vista del panorama.
Gli attori, a fondamento della propria pretesa, affermavano come al momento dell'acquisto il loro dante causa, ossia la società che aveva edificato il palazzo, aveva garantito una servitù “altius non tollendi” in ragione della quale essi avrebbero avuto diritto in perpetuo a non vedere ostacolata la propria visuale.
Il Tribunale rigettava tale ricostruzione e condannava gli attori a pagare le spese del giudizio. Stesso esito in Corte d’appello.
Gli attori si vedevano così costretti a ricorrere in Cassazione, sostanzialmente lamentando come la Corte d'Appello avesse errato nel valutare la cogenza degli obblighi che scaturivano dal contratto di compravendita del loro immobile.
La Cassazione Civile, Sezione II, con la sentenza numero 11224 del 24 aprile 2019 rigettava integralmente il ricorso depositato.
Il gravame principale presentato dai ricorrenti, infatti, riguardava il presunto errore di valutazione nel quale sarebbe incorsa la Corte d'Appello nella propria sentenza, in particolare nel non valutare come il contratto di compravendita immobiliare con il quale i ricorrenti avevano acquistato il proprio appartamento avrebbe potuto essere validamente opposto al condominio e ai suoi abitanti e soprattutto fosse valido sia per gli edifici che per gli alberi, garantendo loro un generale diritto al panorama.
La società costruttrice, infatti, aveva inserito nel contratto la seguente locuzione: “per il fabbricato da costruirsi davanti all'appartamento di cui sopra il piano finito del parapetto della copertura solare non supererà come quota massima il livello del corrimano della ringhiera del balcone” e gli acquirenti avevano inteso tale clausola nel senso di garantire agli stessi una servitù di veduta panoramica.
La Cassazione, dapprima rilevava l'inammissibilità del motivo di ricorso in quanto – a seguito della riforma dell'articolo 360 comma 1 numero 5 del Codice di Procedura Civile – non erano più ammissibili motivi di ricorso per Cassazione basati sulla contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, dovendo tale censura essere parametrata alla verifica della violazione del “minimo costituzionale” di cui all'art. 111 comma 6 della Costituzione.
Peraltro, aggiungevano gli Ermellini, il motivo sostanzialmente si risolveva nella richiesta di un riesame della valutazione di merito operata dalla Corte d'Appello e quindi era, anche sotto questo profilo, inammissibile.
Si sottolinea come nel merito la Corte d'Appello aveva deciso rigettando la domanda attorea sulla base del fatto che “la servitus altius non tollendi non può essere fatta valere nei confronti del condominio e degli altri condomini se non nella misura strettamente aderente alla formulazione letterale del contratto, senza indebite interpretazioni analogiche ed estensive”.
In poche parole, quindi, non poteva estendersi il divieto di costruire oltre ad una certa altezza, questo sì stabilito nel contratto, a un generalizzato divieto di interporre alcunché tra la finestra dei ricorrenti e il panorama.
A parere della Cassazione, quindi, la Corte d'Appello aveva validamente rigettato la domanda dei ricorrenti, considerando valida la presenza degli alberi del condominio ad impedire la vista dei proprietari, in quanto questi non avevano alcuna servitù relativa al panorama, ma solo una generica garanzia che il costruttore non avrebbe costruito un altro edificio in fronte alla loro abitazione.
Aggiungeva infatti la Suprema Corte che “la Corte territoriale non ha escluso che la presenza di alberi ad alto fusto nel giardino condominiale possa integrare in astratto gli estremi di una turbativa di una servitù di panorama, bensì ha ritenuto che, nel caso di specie, il presupposto per l'inquadramento della servitù dedotta in giudizio “tra quelle a tutela delle vedute panoramiche” non fosse stato “compiutamente allegato, né provato in giudizio””.
La Cassazione, quindi, respinti anche gli altri motivi di ricorso in quanto inammissibili (dato che riguardavano presunte violazioni dell'interpretazione del contratto da parte della Corte d'Appello), rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite al condominio.

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