Condominio

Non c’è indennizzo per l’uso della cosa comune se gli altri comunisti sono «inerti»

di Valeria Sibilio

Le dispute familiari inerenti le eredità immobiliari sono diffusissime. Maggiormente quando queste interessano anche i rapporti di vicinato, già di per se legati ad equilibri spesso instabili. La vicenda affrontata dal Tribunale di Rieti, nella sentenza n°100 del 2019 , esemplifica questa problematica.
Gli eredi e proprietari pro quota di un fondo citavano in Tribunale i proprietari di un fabbricato adiacente al loro il cui accesso era consentito attraverso un tracciato sterrato carrabile che attraversava il fondo. I convenuti avevano realizzato, su una particella di proprietà degli attori, una serie di opere contro la loro volontà e senza alcun consenso.
Opere proseguite nonostante l'intervento delle Forze dell'ordine e la diffida dell'Ufficio Tecnico comunale a cessare i lavori ed a ripristinare la situazione preesistente. Gli attori lamentavano la illegittimità delle opere effettuate dai convenuti ed il danno subito, anche in termini di turbativa e compromissione del godimento della proprietà, chiedendo il ripristino della situazione preesistente ed il risarcimento di tutti i danni subiti.
I convenuti, costituendosi in giudizio, chiedevano il rigetto della domanda avversaria in quanto, per loro, infondata, dichiarando che la particella in questione era originariamente di proprietà del capostipite e che solo in seguito alla sua morte, la stessa era stata trasferita agli eredi, senza alcuna prova che il bene fosse stato informalmente attribuito ai soli tre figli con esclusione della moglie e degli altri tre figli.
Dalla visura catastale si evinceva che il terreno era ancora di proprietà della vedova e di tutti i figli, per cui era indispensabile integrare il contraddittorio nei confronti di tali soggetti, essendo richiesta una sentenza che accertasse la proprietà esclusiva degli attori sul fondo. Nel merito, il convenuto deduceva l'infondatezza della domanda avanzata nei propri confronti, negando di avere mai personalmente svolto alcuna attività di sbancamento o scavo sul fondo in questione e di avere mai conferito incarico ad una ditta per la improcedibilità del giudizio.
Il figlio, a sua volta costituitosi, chiedeva il rigetto di tutte le domanda avversarie in quanto infondate in fatto e diritto deducendo, tra l'altro, di essere proprietario della particella il cui accesso dalla pubblica via era garantito attraverso quella che sfociava sulla corte comune, senza aver mai realizzato lavori di sbancamento descritti nell'atto di citazione, né intrattenuto rapporti con la suddetta ditta.
Il Tribunale respingeva l'eccezione di improcedibilità della domanda sollevata dalla difesa per essere stato il giudizio intrapreso in data antecedente alla entrata in vigore della Legge 98/13, che aveva reintrodotto l'obbligatorietà della mediazione per le controversie in materia di diritti reali.
Con lo stesso provvedimento il Giudice, ritenuto che nel caso di specie ricorresse ipotesi di litisconsorzio necessario tra gli eredi degli originari proprietari della particella, sulla quale gli attori assumevano il compimento, da parte dei convenuti, di opere lesive del loro diritto sul fondo, ordinava l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli aventi causa degli originari proprietari mediante acquisizione sia dei documenti comprovanti la successione degli originari proprietari non più in vita ed anche dei loro eredi se deceduti, che mediante la produzione di dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà dalle quali desumere le successioni ed anche acquisizione di certificazione ipocatastale relativa all'immobile. Espletate le perizie, in via pregiudiziale veniva confermato il rigetto delle eccezioni di improcedibilità della domanda avanzate dalle difese dei convenuti, e respinta l'eccezione di nullità dell'atto di citazione per integrazione del contraddittorio, non ravvisandosi alcuna incertezza in ordine all'organo giudicante chiamato a decidere all'esito dell'integrazione del contraddittorio.
Inoltre, veniva disattesa l'eccezione di mancanza di procura alle liti nell'atto di citazione per l'integrazione del contraddittorio, tenuto conto che la delega a margine dell'atto di citazione introduttivo del giudizio conferisce espressamente al difensore il potere di chiamare in causa terzi.
Venendo al merito, la natura comune della particella oggetto di causa è stata qualificata in termini di azione a tutela del diritto di uso del comunista sulla cosa comune, considerato che la condotta ascritta agli stessi è stata prospettata come lesiva del diritto di godere del bene comune e, quindi, del diritto al pari uso del contitolare. Per l'azione in questione è sufficiente che l'attore fornisca la prova del proprio diritto anche in via presuntiva, attraverso un valido titolo di acquisto. Nella specie, si è ritenuta provata la contitolarità, in capo alle parti del giudizio, del diritto di proprietà sulla particella oggetto di causa. Al fine di accertare lo stato dei luoghi e l'esecuzione o meno, sulla particella in questione, delle opere descritte nell'atto di citazione, il giudice è ricorso alla perizia che ha confermato l'esecuzione delle opere, senza sconfinamenti od occupazioni di proprietà limitrofe.
I Giudici hanno osservato che il comproprietario, che durante il periodo di comunione abbia goduto l'intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l'esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti.
L'indennizzo per l'occupazione dell'immobile è dovuto, peraltro, dal comproprietario che ne faccia uso esclusivo, dovendo rilevare che egli resta obbligato a non impedire che gli altri comproprietari ne facciano uguale uso in maniera diretta traendone i frutti civili. Ne consegue che se colui che utilizza in via esclusiva l'immobile comune non è tenuto, in via di principio, a corrispondere alcunché al comproprietario che risulti inerte nell'utilizzare l'immobil nel momento in cui il comproprietario manifesti l'intenzione di utilizzare tale immobile, l'occupante è tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili. Nella causa in questione, non si è potuto ritenere operante l'automatismo del meccanismo risarcitorio elaborato dalla giurisprudenza, non avendo, la parte attrice, allegato nulla alla documentazione. Né la prova e la quantificazione del danno può essere demandata alla CTU che ha la sola funzione di mezzo di ausilio del giudice e non di uno strumento volto a supplire alle carenze delle parti in termini di allegazione e di prova.
Il Tribunale di Rieti, accogliendo la domanda di risarcimento dei danni avanzata dagli attori, ha condannato i convenuti alla rimozione delle opere eseguite ed al ripristino della situazione esistente precedentemente agli interventi, respingendo la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali, pure proposta dagli attori, compensando integralmente le spese di lite relative ai rapporti processuali, condannando gli attori a rifondere le spese di lite relative ai propri rapporti processuali con i suddetti convenuti, liquidate, quanto al primo in euro 4.835,00 a titolo di compensi professionali e quanto al secondo in euro 4.835,00 a titolo di compensi professionali.

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