Condominio

Non diffama l'amministratore chi riferisce la sua accusa di appropriazione indebita

di Giulio Benedetti

Per tutti , e per il professionista in particolare, è fondamentale la tutela della propria reputazione, che spesso costituisce il solo capitale umano a sua disposizione . La tutela dell'integrità dell'immagine , in un mondo che con i nuovi strumenti di comunicazione la esalta all'inverosimile, è al centro della pubblica attenzione, come dimostra la recente approvazione parlamentare del disegno di legge in materia di “revenge-porn”.
Tale materia è importante per l'amministratore di condominio sul quale sempre incombe il giudizio sul suo operato e sulla sua persona da parte dei condòmini i quali possono sempre chiedere all'assemblea o al tribunale, ai sensi degli articoli 1129 c.c. e 71 bis disp.att. c.c., la sua revoca : l'articolo 71 bis afferma che la precedente condanna per il reato di appropriazione indebita comporta la sua revoca dell'incarico. Ma in un campo così delicato fino a quale punto possono spingersi i condòmini nell'accusa l'amministratore senza compiere il reato di diffamazione (articolo 595 del Codice penale)?
La Corte di Cassazione (sentenza 14653/2019) ha respinto il ricorso di un amministratore di condominio avverso la sentenza di assoluzione di due soggetti i quali avevano affermato, in più occasioni, che lo stesso non era legittimato a partecipare o a prendere decisioni per conto di un condominio , dal medesimo amministrato, poiché era stato condannato per il reato di appropriazione indebita , consumato ai danni dello stesso. Tale affermazione era contraria al vero, poiché a tale soggetto era stato soltanto notificato un decreto penale di condanna. L'articolo 459 c.p.p. prevede che il pubblico ministero chieda al giudice per le indagini preliminari l'emissione di un decreto , con il quale viene irrogata all'imputato una pena pecuniaria , ed allo stesso l'interessato può opporsi chiedendo la definizione del procedimento con un rito alternativo o con il giudizio ordinario.
Il decreto diventa esecutivo soltanto in assenza di opposizione , mentre la sua emissione , in pendenza di opposizione, non equivale ad una condanna , bensì all'inizio di un procedimento penale. I due condòmini , basandosi sulla notifica del decreto penale , sostenevano l'inopportunità della partecipazione del ricorrente, in qualità di amministratore del condominio oggetto del decreto penale, a riunioni con il sindaco e con il prefetto. Il tribunale assolveva i due condòmini poiché gli stessi avevano riferito un fatto vero , utilizzando un linguaggio contenuto ed in contesti in cui la notizia poteva assumere rilievo e pertanto avevano esercitato un legittimo diritto di critica. Il ricorrente chiedeva la riforma della sentenza poiché i due imputati avevano riferito un fatto non vero , in quanto il decreto penale era stato opposto ed il giudizio si era chiuso con la sentenza di assoluzione dell'amministratore. La Corte di Cassazione non consentiva una rilettura , in sede di legittimità, del merito del procedimento e degli elementi di fatto posti a fondamento della sentenza , la cui valutazione è rimessa al giudice di merito. In ogni caso la Corte affermava che il tribunale , con una motivazione priva di vizi logici, aveva osservato come gli imputati si fossero limitati a sottolineare che :
* l'amministratore era stato raggiunto da un provvedimento di condanna , senza che fosse rilevante che lo stesso fosse un decreto penale piuttosto che una sentenza , anch'essa neppure definitiva;
* gli imputati non sapevano che l'amministratore si era opposto al decreto penale e neppure sapevano della sua assoluzione , pervenuta in epoca successiva ;
* le frasi incriminate erano state pronunciate in contesti propri, ovvero in occasioni nelle quali l'amministratore avrebbe dovuto rappresentare il condominio, vittima delle sue appropriazioni.
Sulla base di tali considerazioni la Corte di Cassazione , confermando la sentenza assolutoria del tribunale, concludeva che i due condòmini avevano legittimamente esercitato il consentito diritto di critica e , pertanto, ne scriminava la condotta , altrimenti offensiva della reputazione del ricorrente. In definitiva la Corte affermava che la motivazione della sentenza impugnata non aveva i vizi lamentati dal ricorrente, il cui ricorso era pertanto respinto con la condanna al pagamento delle spese processuali.

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