Condominio

Usucapione possibile anche sui beni comuni del condominio

di Anna Nicola

La decisione della Corte di Cassazione n. 5324 del 17 marzo 2016 in tema di usucapione e condominio concerne la controversia insorta tra alcuni condomini per il ripristino dell'uso paritetico di un vano e di una latrina ritenuti dagli attori come condominiali e utilizzati da un altro condomino. La Cassazione risponde che è possibile diventare proprietari di un bene comune per usucapione, qualora venga dimostrato il possesso continuo, pacifico, cioè non occulto, e non interrotto per venti anni,. La sentenza ricorda anche la presunzione di condominialità sulla cui base è sufficiente che il bene abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo per ritenerlo di proprietà del condominio e non di un singolo condomino.
L'usucapione è un modo di acquisto della proprietà –o altro diritto reale- a titolo originario in ragione di quanto disciplinato dall'art. 1158 e seguenti del codice civile. Condizioni imprescindibili perché possa ricorrere sono: il possesso non violento, né clandestino del bene (o comunque qualora il possesso sia avvenuto in modo violento o clandestino, la violenza o la clandestinità devono essere cessate). In merito alla durata del possesso, l'usucapione deve protrarsi per un periodo di tempo continuo e non interrotto: 20 anni per gli immobili e 10 anni se il possesso è stato acquistato in buona fede in base ad un titolo trascritto astrattamente idoneo a trasferire la proprietà.
Affinché possa esservi usucapione non deve sussistere solo l'utilizzo individuale da parte del singolo del bene condominiale, ma è richiesto un possesso esclusivo in contrasto con il concorrente diritto degli altri condomini. Non è indispensabile che vi sia l'elemento soggettivo della buona fede, ma deve pur sempre trattarsi di un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Il possesso, oltre a dover protrarsi ininterrottamente per venti anni, come sopra detto, deve essere accompagnato dall'intenzione di esercitare un potere sulla cosa usucapita.
È bene precisare che in tema di compossesso il godimento esclusivo della cosa comune da parte dei compossessori non è, di per sé, idoneo ad attestare che vi sia stata usucapione, perché potrebbe esservi stato solamente un mero atteggiamento di tolleranza da parte dell'altro compossessore. Per l'usucapione è necessaria una manifestazione di proprietà esclusiva sulla cosa da parte dell'interessato, mediante un'attività chiaramente incompatibile con il possesso altrui. Per evitare l'usucapione di un bene condominiale, ciascun interessato potrà notificare al condomino, prima che decorrano i termini previsti per l'acquisto a titolo di usucapione, un atto di citazione o comunque un atto di costituzione in mora.
L'utilizzo del bene comune da parte di un condomino in modo più intenso rispetto agli altri non determina l'insorgenza dell'usucapione. Infatti, ciascun comproprietario ha il diritto a trarre dal bene comune una maggiore utilità, purché non impedisca il pari uso degli altri o alteri la destinazione del bene ex art. 1102 c.c. Il godimento del bene comune potrebbe essere suddiviso in base a differenti zone oppure potrebbe essere di tipo turnario, senza che vi siano in queste ipotesi conseguenze svantaggiose irreparabili per gli altri condomini o che possa maturare l'acquisto per usucapione.
Particolare è il caso che intervenga usucapione su beni di uso condominiale. Sul punto la Corte di Cassazione 13893/2012 non ha accolto le pretese di alcuni condomini che non erano stati in grado di produrre sufficienti prove di possesso esclusivo di un locale adibito a deposito di scatole appartenenti ad un condominio, sottolineando come lo stesso, privo di serratura, fosse liberamente accessibile. La manifestazione d'uso del bene condominiale in questo caso specifico non è stata classificata dalla Corte come idonea ad escludere il diritto concorrente degli altri condomini all'accesso al locale stesso. Fuori discussione è il fatto che è impossibile che si verifichi l'estinzione della comproprietà perchè il diritto di proprietà non può essere soggetto a prescrizione.
In un'altra pronuncia (Cass. 14171/2007), la Corte ha evidenziato come, ai fini della prova, non sia sufficiente che i comproprietari si limitino ad astenersi dall'uso della cosa comune. Occorre che si verifichi una situazione di godimento esclusivo, il quale può essere accertato fornendo la prova che il singolo comproprietario ne abbia goduto in modo inconciliabile con le altrui possibilità di utilizzo. Serve provare, quindi, che, al di là di qualsiasi possibile altrui tolleranza, il singolo abbia esercitato una inequivocabile volontà di possedere il bene in via esclusiva, impedendo ai comproprietari ogni potenziale atto di godimento o di gestione.
Sono passibili di usucapione da parte del singolo, ad esempio, il sottotetto o una parte del giardino comune. Il mezzo per evitare l'usucapione è l'azione giudiziale volta al reintegro del possesso del bene condominiale del quale un singolo impedisce l'accesso o l'utilizzo. L'ordinamento in ogni caso tutela il diritto dei cointestatari impedendo espressamente che il singolo non possa estendere la propria pretesa sulla cosa comune in danno agli altri interessati se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso (art. 1102 C.C.). Nel caso specifico del condominio è l'amministratore il soggetto preposto ad intervenire nel caso in cui i singoli proprietari occupino parti comuni, le chiudano o le recintino. Ove tale soggetto (o, in alternativa, pur sempre i condomini controinteressati) non intervenga tempestivamente, si verranno a creare i presupposti per il perfezionamento di usucapione.
Così, il singolo condomino può usucapire la quota degli altri condomini senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso, dovendo tuttavia allegare e dimostrare di avere goduto del bene a titolo esclusivo secondo quanto sancito da Cass 20039/2016.
Nel caso di specie, alcuni condomini convenivano dinanzi al Tribunale di Salerno un altro condomino, che, in occasione della ristrutturazione di alcuni suoi immobili, aveva chiuso con opere murarie e con una porta a battenti in ferro un porticato comune a tutti i condomini; si era altresì impossessato di un forno e aveva demolito un pozzo comune e dei lavatoi, chiedendo la condanna alla demolizione delle opere illegittime e al ripristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento danni. Il condomino convenuto si difendeva osservando di essere proprietario dei beni in questione e di averli comunque acquisiti per usucapione.
Il Tribunale di primo grado adito, accogliendo la domanda, dichiarava illegittime le opere di chiusura del porticato eseguite dal convenuto, condannando quest'ultimo al loro abbattimento e al ripristino dello stato dei luoghi. La Corte di Appello ha seguito pari, pari la decisione del giudice di primo grado.
La Cassazione, con la sentenza suddetta, ha dichiarato infondato il ricorso per una mancanza intrinseca del processo, a livello soprattutto probatorio, sia in primo che in secondo grado, affermando un principio da non sottovalutare.
I giudici di legittimità rilevano che, secondo i principi della giurisprudenza, in tema di condominio, il condomino può usucapire la quota degli altri senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso. A tal fine, però, non è sufficiente che gli altri condomini si siano astenuti dall'uso del bene comune, bensì occorre allegare e dimostrare di avere goduto del bene stesso attraverso un proprio possesso esclusivo in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un'inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, senza opposizione, per il tempo utile ad usucapire (richiamando Cass. 17322/2010).
Il condomino che deduce di avere usucapito la cosa comune deve provare di averla sottratta all'uso comune per il periodo utile all'usucapione, e cioè deve dimostrare una condotta diretta a rivelare in modo inequivoco che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituito da atti univocamente rivolti contro i compossessori, e tale da rendere riconoscibile a costoro l'intenzione di non possedere più come semplice compossessore, non bastando al riguardo la prova del mero non uso da parte degli altri condomini, stante l'imprescrittibilità del diritto in comproprietà.

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