Condominio

Per il supercondominio basta una servitù

di Rosario Dolce

Perché esista il supercondominio basta anche un solo bene o servizio in comune. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 2279/2019.

Il caso prende spunto da una lite sulla portata di una servitù di passaggio su un fondo (una strada) in comunione tra due singole compagini condominiali.

È stato riconosciuto nella sentenza che la sussistenza di servizi o beni comuni a più condomìnii autonomi dà luogo ad un supercondominio, che è distinto ed autonomo rispetto ai singoli condomini che lo compongono e che viene in essere “ipso iure et facto” ove il titolo non disponga altrimenti (Cassazione, sentenze 2305/2008, 13883/2010, 17332/2011, 19939/2012, e 5160/1993).

In questi casi il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli articoli 1130 e 1131 del Codice civile si riflette, sul piano processuale, nella facoltà di agire o resistere in giudizio soltanto con riferimento ai beni comuni all’edificio amministrato e non per quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve invece essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi (assemblea di tutti i proprietari o, quando ricorrono le circostanze, assemblea dei “rappresentanti” e amministratore del supercondominio).

Non solo. I giudici di legittimità vanno oltre alla semplice ricognizione del dato giudico e spiegano che «Qualora non sia stato nominato l’amministratore del supercondominio, la rappresentanza processuale passiva compete, in via alternativa, ad un curatore speciale nominato a norma dell’art. 65 disp. att. c.c. o al titolare di un mandato ad hoc conferito dai comproprietari. In mancanza occorre convenire in giudizio tutti i titolari delle porzioni esclusive ubicate nei singoli edifici».

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