Condominio

Come sospendere con effetto immediato la delibera dell’assemblea di condominio

di Anna Nicola

La deliberazione, seppure affetta da annullabilità, vale sin da subito, dalla sua assunzione.
Ci possono essere casi in cui occorre procedere con urgenza per sospendere la sua efficacia. Il ricorso teso alla sospensione dell'efficacia della deliberazione si qualifica, sebbene non in senso unanime, in termini di procedimento cautelare.
La fattispecie relativa all'impugnazione della deliberazione assembleare vede come attore il condomino (come detto, astenuto, assente o dissenziente).
Questi agisce ex art. 1137 c.c., impugnando -in sede di mediazione- la decisione assunta dall'assemblea di condominio entro il termine di trenta giorni. Questo termine decorre dalla data della tenuta riunione per il condomino che è stato presente alla stessa e che dissente dalla deliberazione assunta dal collegio o si è astenuto dall'esprimere il suo voto; esso invece parte dalla data di ricezione del verbale per chi è stato assente all'assemblea.
Se l'azione, rectius il procedimento di mediazione non viene incardinato –sotto il profilo dell'instaurazione del contraddittorio - entro questo termine, il condomino decade dalla relativa azione.
Se la mediazione viene attivata trascorso il termine decadenziale dei trenta giorni di cui all'art. 1137 c.c. , il mediatore non dovrebbe iniziare il procedimento. Dovrebbe dare atto della decadenza in cui è incorsa la parte istante e quindi chiudere la mediazione.
Se la parte chiamata in mediazione si presenta in sede di primo incontro e/o manifesta la propria volontà conciliativa, nonostante il trascorso del termine decadenziale, nulla vieta che le parti si concilino. La decadenza non implica l'impossibilità di accordarsi sull'oggetto per cui è spirato il termine. Dato atto nel verbale del relativo trascorso, le parti possono trovare una soluzione bonaria indipendentemente dalla decadenza. Se questo ragionamento è corretto, ciò significa che l'organismo di mediazione, ricevuta l'istanza, non deve entrare nel merito dei termini entro cui la domanda è stata presentata, al fine di rilevare l'incorsa decadenza o prescrizione.
La causa eventualmente incardinata davanti al tribunale successivamente alla scadenza del termine di decadenza de quo si conclude con una pronunzia di rigetto strettamente processuale, in ragione del mancato esercizio della domanda nel termine prescritto dalla legge, ove la relativa questione è stata oggetto di materia del contendere.
Poiché la questione dell'invalidità della deliberazione deve essere previamente proposta in sede di mediazione, ci si domanda quale sia la sorte di questo procedimento giudiziario ove la proposizione dell'istanza non rispetti il termine di decadenza in questione.
Poiché il procedimento di mediazione (D. Lgs. 28/2010) ha solo finalità conciliative e il verbale conclusivo della procedura non può avere valore di decisione giudiziale, va da sé che esso non può concludersi con una dichiarazione processuale di rigetto in ragione dell'avvenuta decadenza. Se del caso si tratterà di conciliazione mancata in ragione del rilievo dell'incorsa decadenza, andando comunque avanti anche nel merito. In linea di massima, la decisione del condominio, una volta scaduto il termine per la sua impugnazione, si consolida, non potendo essere più fatta oggetto di discussione sotto questo profilo: essa acquista totale validità e efficacia, salvo naturalmente che vi siano ulteriori motivi non sotto il profilo dell'annullabilità ma per ragioni di nullità. Nulla vieta, in simili casi, che il condominio e il singolo condomino trovino comunque un accordo in sede di mediazione, come sopra osservato. Questa ipotesi pare nel concreto remota, stante la contrapposizione degli interessi delle parti e stante il consolidamento dell'efficacia della decisione assembleare scaduto il termine di cui all'art. 1137 c.c. Nella maggior parte dei casi, il condominio non ha interesse a conciliare una fattispecie che già di per sé si è sanata in ragione del decorso del termine legislativamente previsto. L'eventuale presentazione del condominio all'incontro davanti al mediatore può ritenersi eventualmente opportuno per l'amministratore diligente ma al solo fine di evidenziare che il condomino è decaduto dall'azione, se l'assemblea che lo ha autorizzato a andare in mediazione non ha dato direttive diverse. La questione avrà come esito conclusivo il verbale di mancato raggiungimento dell'accordo conciliativo, con l'appurata improcedibilità per il condomino della domanda in sede di giudizio ordinario, pena la pronunzia processuale di rigetto della stessa. Tutte queste osservazioni valgono solo per la decisione annullabile e non per quella nulla, per la quale l'azione non è soggetta al termine di decadenza ex art. 1137 c.c. e è imprescrittibile in applicazione dei principi generali.
Ove l'azione venga esercitata in sede di mediazione in tempo utile, può esservi urgenza per il condomino di ottenere la sospensione dell'efficacia della deliberazione. Può verificarsi il caso in cui, in pendenza della procedura di mediazione, la decisione assembleare arrechi danno o sia pregiudizievole per chi sta agendo. La deliberazione può essere lesiva degli interessi del singolo sin da subito, ancor prima della presentazione da parte di quest'ultimo dell'istanza di mediazione. Se non vi fosse la previsione di cui al comma 2 dell'art. 1137 c.c. sulla cui base il singolo condomino può richiedere al giudice la sospensione della decisione assembleare, si troverebbe a dover attendere l'esito della mediaconciliazione o l'emanazione della sentenza con cui viene accolta la sua domanda in sede processuale, dopo che i tempi si sono allungati in ragione della iniziale parentesi della mediazione. Così non è in quanto l'istanza di mediazione e il successivo giudizio ordinario non esclude il ricorso al giudice in via d'urgenza al fine di ottenere nell'immediato la tutela dei propri interessi.
L'art. 1137, secondo comma, c.c. permette di adire subito il giudice sotto questo aspetto. Così recita la norma per la parte qui di interesse: <<Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità stessa>>
La domanda di sospensione della delibera assembleare deve essere espressamente richiesta in sede giudiziale (c.d. principio del chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c.): il giudice non può emettere alcun provvedimento se non è supportato dalla relativa istanza della parte interessata. A maggior ragione, dal momento in cui la mediazione diviene obbligatoria per queste controversie. Qualificandosi in termini di ricorso che necessita di un intervento urgente, anche per questa fattispecie non trova accesso la mediazione. <<Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari …>> (art. 5, comma 3, del D. Lgs. 28/2010). Poiché la richiesta di sospensione dell'efficacia della decisione condominiale e la conseguente decisione giudiziale hanno natura cautelare (Tribunale di Pavia 3 ottobre 2008), il condomino deve agire in sede ordinaria domandando la –sola - sospensione dell'efficacia della decisione condominiale. La funzione della sospensione è proprio quella di preservare o tutelare lo stato di fatto e di diritto lamentata dal condomino fino alla pronuncia di merito –o alla conclusione con successo della mediazione - che deciderà della legittimità della delibera impugnata.
Essa garantisce al ricorrente la tutela dei propri diritti nell'immediato onde evitare che il tempo necessario alla conclusione del giudizio di primo grado, o della mediazione, possa recare allo stesso danno. Una volta riconosciuta la natura cautelare, la concessione della sospensione deve rispettare i requisiti (c.d. fumus boni iuris e periculum in mora) propri di tutti i provvedimenti cautelari. Parte della giurisprudenza afferma che il condomino non può lamentare la ricorrenza del pericolo di danno se il danno dichiarato è puramente patrimoniale e neppure di ingente entità (Tribunale Pavia, 3 ottobre 2008). Se si aderisce a questo orientamento, a fronte di questi presupposti, il provvedimento è obbligatoriamente di rigetto dell'istanza di sospensione della deliberazione, non ricorrendo alcun motivo legittimante la sospensione dell'efficacia della decisione del condominio.
Nei casi in cui il condomino agisca in sede giudiziale per ottenere la sospensione dell'efficacia dell'assunto condominiale viziato sotto il profilo della sua annullabilità vi è un concorso di procedimenti:
- il primo è di natura cautelare davanti all'autorità giudiziaria;
- il secondo attiene al merito della vicenda e è in sede di mediazione (D. Lgs. 28/2010).
Non potendo ipotizzare in concreto che entrambe terminino nello stesso momento, è assai probabile che la conclusione di una delle due procedure vada a incidere sull'esito di quella ancora pendente. Mentre la conciliazione non raggiunta in sede di mediazione può ritenersi ininfluente ai fini del giudizio cautelare in merito alla sospensione dell'efficacia della deliberazione condominiale, potendo derivare da svariati motivi, compresa la mancata partecipazione del condominio chiamato alla conciliazione, la conclusione della mediazione con esito positivo del tentativo di conciliazione comporta la cessazione della materia del contendere nel caso in cui il giudizio di sospensione della deliberazione non abbia ancora raggiunto il provvedimento finale, se anche questo tema è stato fatto oggetto di accordo. Nel caso in cui invece venga emesso il provvedimento cautelare prima dell'esito della mediazione, esso può avere notevole influenza in merito alla conclusione della conciliazione. Sia in caso di accoglimento del ricorso del condomino, sia in caso di rigetto, la rispettiva parter che ha visto l'esito positivo può sentire rafforzate le proprie ragioni e può irrigidirsi sulle sue posizioni. Qui entra in gioco più che mai il ruolo del mediatore, che si deve impegnare nelle sue capacità empatiche, oltre che professionali e giuridiche.
Sia la parte istante, sia il chiamato alla mediazione sono obbligati a presenziare nella procedura conciliativa. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio (art. 116, secondo comma, c.p.c.). Inoltre, quando si tratta di fattispecie di mediazione obbligatoria, l'assenza senza giustificato motivo comporta la condanna al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio (art. 8, ultimo comma, D. Lgs. 28/2010).
Non si qualificano giustificati motivi:
-l'età avanzata (Tribunale di Palermo, Sez. dist. Bagheria, ordinanza 20 luglio 2012);
-l'assunta sua inutilità per essere espletato dopo la proposizione del giudizio (Tribunale Termini Imerese, sez. civile, ordinanza 09 maggio 2012);
-la permanenza di una situazione di litigiosità (Tribunale Termini Imerese, sez. civile, ordinanza 09 maggio 2012);
-la ritenuta erroneità della sentenza parziale, sulla cui base proporre specifico appello (Tribunale di Roma, Sezione Distaccata di Ostia, 5 luglio 2012).
Il Ministero della Giustizia con la circolare 4 aprile 2011 – Regolamento di procedura e requisiti dei mediatori. Chiarimenti osserva quanto segue: <<Preme evidenziare che si ritiene non corretto l'inserimento, nel regolamento di procedura di un organismo di mediazione, di una previsione secondo la quale, ove l'incontro fissato del responsabile dell'organismo non abbia avuto luogo perché la parte invitata non abbia tempestivamente espresso la propria adesione ovvero abbia comunicato espressamente di non volere aderire e l'istante abbia dichiarato di non volere comunque dare corso alla mediazione, la segreteria dell'organismo possa rilasciare, in data successiva a quella inizialmente fissata, una dichiarazione di conclusione del procedimento per mancata adesione della parte invitata. Una siffatta previsione non può, infatti, essere considerata conforme alla disciplina normativa in esame nei casi di operatività della condizione di procedibilità di cui all'art.5 del D.Lgs.28/2010. L'inserimento di tale previsione nel regolamento di procedura di un organismo di mediazione non può che essere ritenuta in contrasto con la norma primaria (art.5 del D.Lgs. 28/2010) che esige che, per determinate materie, deve essere preliminarmente esperito il procedimento di mediazione: il che postula che si compaia effettivamente dinanzi al mediatore designato, il quale solo può constatare la mancata comparizione della parte invitata e redigere il verbale negativo del tentativo di conciliazione. La mediazione obbligatoria è tale proprio in quanto deve essere esperita anche in caso di mancata adesione della parte invitata e non può, quindi, dirsi correttamente percorsa ove l'istante si sia rivolto ad un organismo di mediazione ed abbia rinunciato, a seguito della ricezione della comunicazione di mancata adesione della parte invitata, alla mediazione. Ove, invece, si ritenesse legittima tale previsione regolamentare, si produrrebbe l'effetto, non consentito, di un aggiramento della previsione che ha imposto l'operatività della condizione di procedibilità per talune materie.>>
Ove sussiste l'obbligatorietà del tentativo di mediazione, è necessario che l'invitante si presenti in ogni caso (anche nel caso in cui la parte chiamata non abbia dato alcuna risposta ovvero abbia dichiarato di non avere interesse a presenziare al tentativo di media conciliazione) davanti al mediatore. Ciò in quanto deve essere il mediatore ad accertare ed attestare la mancata comparizione della controparte e la conclusione negativa del procedimento di mediazione. Nei casi di mediazione obbligatoria, la presenza della parte istante è necessaria al fine di consentire al mediatore di incontrare almeno tale parte e, se del caso, accertare l'effettiva impossibilità di un utile prosecuzione dell'esperimento (D.M. 6 luglio 2011, n. 145). Solo all'esito di tale incontro e la relativa verbalizzazione, l'organismo di mediazione è abilitato ad attestare l'esito negativo della media conciliazione per la mancata presenza della parte chiamata (Tribunale Roma, Sez. Distaccata Ostia, 22 agosto 2012).

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