Condominio

Guida – Le tabelle millesimali degli edifici in condominio – Parte 4

di Marco Barrani

La scala condominiale è una di quelle parti comuni dell'edificio per le quali il Codice Civile prevede dei criteri di ripartizione differenti rispetto a quelli con cui è stata predisposta la Tabella dei millesimi di proprietà generale. Rispetto a quest'ultima tabella che, oltre a servire per determinare la validità di costituzione delle assemblee e la validità delle relative delibere, è utilizzata anche per ripartire le spese attinenti a quei servizi o a quelle cose comuni che forniscono tutte la stessa utilità ai proprietari delle unità immobiliari, la tabella dei millesimi delle scale deve invece considerare anche la diversa utilità che tale pertinenza fornisce alle singole proprietà esclusive. Proprio il 2° comma dell'art. 1123 c.c., infatti, prevede che: “Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne” e proprio le scale forniscono un'utilità differente alle unità immobiliari dell'edificio in virtù dell'ovvio assunto che maggiore è l'altezza a cui ubicata una di queste unità immobiliari e maggiore e l'utilità fornita dalla scala. All'art. 1124, quindi, il Codice Civile dispone, specificatamente per le scale, dei particolari criteri di ripartizione per le relative spese di manutenzione e sostituzione; chiaramente anche le attinenti tabelle devono essere predisposte e calcolate secondo detti criteri, fatta sempre salva la circostanza in cui i condomini abbiano stabilito, con consenso unanime, dei criteri di ripartizione convenzionali e derogatori di quelli legali.
Pertanto, secondo l'art. 1124 c.c.: “Le scale e gli ascensori sono mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l'altra metà esclusivamente in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo. Al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune”.
Se la ripartizione delle spese attinenti le scale si è rivelata in passato una delle più tormentate questioni giudiziarie legate all'ambito condominiale, soprattutto in merito all'individuazione delle unità immobiliari alle quali competerebbero gli addebiti di tali spese e secondo quali proporzioni, la disciplina del procedimento estimativo è inequivocabile e non esistono ampie divergenze nella prassi di calcolo. In base a quanto sancito dall'art. 1124 c.c. la redazione della tabella delle scale, generalmente denominata Tabella B, deve essere eseguita ripartendo metà dei millesimi in base al valore delle unità immobiliari e l'altra metà dei millesimi fra i vari piani dell'edificio in base alla relativa altezza di ubicazione dal suolo. Conseguentemente, 500 millesimi saranno ripartiti tra le unità immobiliari dell'edificio in base ai rispettivi valori e con lo stesso procedimento utilizzato per la tabella di proprietà generale ma con una suddivisione limitata a 500 millesimi anziché a 1000. Gli altri 500 millesimi, invece, saranno ripartiti tra i vari piani dell'edificio superiori al piano terreno ed in base alle relative altezze dal suolo; cosicché, se l'altezza del piano primo è a quota di metri 3, quella del secondo piano a metri 6, e così via, ad ogni piano corrisponderà una proporzionale quota millesimale rispetto a tali distanze di percorrenza per l'accesso ai vari piani e dove la somma totale di tali distanze corrisponderà a 500 millesimi. Chiaramente, e per non incorrere in un tipico errore di calcolo, va proporzionata a 500 millesimi la somma totale di tali singole distanze di percorrenza o altezze e non invece l'altezza massima dal suolo all'ultimo piano dell'edificio. I millesimi che saranno così determinati per ogni piano dell'edificio saranno poi ripartiti tra le unità immobiliari ubicate a quello stesso piano ed in proporzione al valore di tali unità medesime. Per ogni immobile, infine, i valori definitivi della tabella delle scale saranno dati dalla somma tra i millesimi calcolati in base al valore delle unità immobiliari ed i millesimi calcolati in base alle differenti altezze di ubicazioni dal suolo.
Come premesso, ciò che invece ha originato numerose e differenti interpretazioni della norma e che ha causato molte conflittualità in giurisprudenza, è legato all'individuazione delle unità immobiliari cui competono le spese di manutenzione delle scale. Una delle più tormentate questioni è sempre stata legata al quesito se anche i proprietari delle unità immobiliari ubicate al piano terra degli edifici, ed in particolare di quelle prive di accesso dall'androne comune o dal vano scala stesso, e che quindi non si servono di tale pertinenza per i relativi accessi, debbano contribuire alle spese. In passato, molte ripartizioni millesimali tuttora vigenti presso molti condominii non comprendevano le unità immobiliari al piano terra nella tabella delle scale, tantomeno quelle che non disponevano di ingresso dall'androne o dal vano scala comune. La Giustizia di legittimità, invece, ha fornito un'interpretazione differente, ormai ampiamente consolidata, secondo la quale, sempre salvo diversa convenzione, nessuna unità immobiliare dell'edificio può essere esclusa dalla ripartizione delle spese della scala e quindi dalla relativa ripartizione millesimale. Secondo tale orientamento: “anche i proprietari di tali locali sono tenuti a concorrere alle spese di manutenzione (ed eventualmente di ricostruzione) dell'androne e delle scale, sia pure in misura minore, e ciò sia avuto riguardo all'uso, ancorché ridotto, che anch'essi possono fare dell'androne e delle scale per accedere, come è loro diritto, nei locali della portineria e al tetto o al lastrico solare, sia avuto riguardo all'obbligo e alle connesse responsabilità che anch'essi hanno quali condomini di prevenire e rimuovere ogni possibile situazione di pericolo che possa derivare all'incolumità degli utenti dalla insufficiente manutenzione dei suddetti beni comuni” (da Sent. Cass. Civ. Sez. II n. 9986/2017, citazione della Sentenza Cass. Civ. Sez. I n. 2328/1977).
Inoltre, ai sensi dell'art. 1117 c.c., l'androne e le scale di un edificio sono oggetto di proprietà comune anche dei proprietari dei locali ubicati ai piani terra che abbiano accesso direttamente dalla strada poiché riguardano elementi necessari per la configurabilità stessa di un fabbricato come diviso in proprietà individuali e, inoltre, sono necessari anche a detti proprietari per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura, a tetto o a terrazza (Cass. Civ. Sez. II n. 761/1979). Neppure il caso in cui la scala non consenta l'accesso diretto al tetto, per la mancanza di un relativo varco o accesso, può vincerne la presunzione di proprietà comune e l'obbligo di corrispondere alle relative spese di manutenzione anche da parte dei proprietari dei piani terreni, se ciò non è precisato dal titolo (Cass Civ. Sez. II n. 4419/2013).
Sebbene le univoche e concordanti pronunce che abbiamo richiamato si riferiscano esclusivamente o principalmente alle unità immobiliari ubicate ai piani terra degli edifici, sulla base delle stesse motivazioni si può dedurre che neanche quelle unità immobiliari ubicate ai piani interrati e che non siano direttamente raggiungibili dalla scala potrebbero essere escluse da tali ripartizioni; ai sensi dell'art. 1117 c.c., infatti, la scala è comune a tutti i proprietari di tutte le unità immobiliari dell'edificio nessuna esclusa e, inoltre, anche a tali condomini spetterebbe quindi l'uso, ancorché ridotto, per l'acceso all'androne, alla portineria e al tetto o lastrico solare dell'edificio e per l'obbligo e le responsabilità di rimuovere o prevenire qualsiasi situazione di pericolo.
Alcuni dubbi potrebbero emergere sul come debba essere quantificata tale “misura minore”, così come è genericamente indicata, nelle sentenze prima citate, la quota di competenza delle spese delle scale e dei relativi millesimi per gli immobili al piano terra; tuttavia, proprio il criterio delle due metà, sancito dall'art. 1124 c.c., ed in base al quale i millesimi attribuiti ai proprietari delle unità immobiliari ai piani terra sarebbero solo quelli derivanti dalla ripartizione in base al valore, mentre non sarebbero loro attribuiti millesimi in base all'altezza dei piani, dovrebbe rappresentare un correttivo all'integrale applicazione dell'art. 1123 cod. civ. e dovrebbe essere diretto a tutelare proprio i proprietari dei piani inferiori in funzione della diversa utilizzazione” (Cass. Civ. Sez. VI n. 21886/2012).
Un'altra particolare questione è legata invece alla ripartizione dei millesimi per quelle unità immobiliari ubicate ai piani superiori dell'edificio ed accessibili direttamente dalla scala comune ma che possiedono particolare destinazione d'uso non abitativa, come soffitte, palchi morti, lastrici solari, ecc.. In tal caso, le ripartizioni errate che talvolta si riscontravano presso molti condominii, soprattutto in epoca passata, erano maggiormente legate a veri e propri errori nell'interpretazione della norma che ad effettive difficoltà interpretative della norma stessa ed alla relativa applicazione a contesti particolari. Per tali unità, infatti, il secondo comma dell'art. 1124 c.c. è piuttosto chiaro nel prevedere che le spese da addebitare a tali immobili, anche quando ubicati ai piani superiori, e quindi che anche le relative quote millesimali, siano soltanto quelle calcolate nella “prima metà” in base ai valori delle unità immobiliari senza prevedere ulteriori quote millesimali per l'altezza di piano cui sono posizionate. In tal senso la volontà del legislatore è chiarissima ed è manifesta proprio nella relazione che l'allora Ministro Guardasigilli Dino Grandi predispose per la presentazione del Codice del 1942: “…E' giusto che i proprietari degli ultimi piani contribuiscano in misura maggiore, perché è da presumere che col maggior uso diano luogo al maggior consumo delle scale. Sarebbe però eccessivo che i proprietari delle soffitte o camere a tetto e dei palchi morti contribuissero in ragione dell'altezza, perché in questi casi viene meno la presunzione del maggior logorio in conseguenza dell'uso, trattandosi di locali non destinati ad abitazione; perciò ho stabilito che questi proprietari, come quelli delle cantine, concorrano soltanto nella metà delle spese stesse che è ripartita in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano (art. 1124 del c.c., secondo comma)” (dalla relazione per l'approvazione del Codice Civile del 1942 del Ministro Guardasigilli Dino Grandi).
Approfondimento
In conclusione, è innegabile che la Cassazione abbia fornito interpretazioni univoche ed ampiamente motivate su alcune delle questioni che, in passato, risultavano tra le più controverse; tuttavia, proprio alcuni di tali dettami creano, all'atto pratico dell'approvazione delle ripartizioni millesimali in sede assembleare, maggiori discussioni e difficoltà. In passato, e nella maggior parte dei casi, nella tabella millesimale della scala i tecnici redattori escludevano le unità immobiliari ubicate al piano terra, e quantomeno quelle prive di alcun ingresso dall'androne o dal vano scala; quanto sancito dal 1° comma dell'art 1124 c.c., che nella vecchia formula anteriore alla L. n. 220/2012 così recitava: “Le scale sono mantenute e ricostruite dai proprietari dei diversi piani a cui servono…”, veniva interpretato nel senso che solo le unità immobiliari ubicate ai piani superiori, o comunque quelle accessibili direttamente dal vano scala o dall'androne comune, dovessero compartecipare nella ripartizione delle relative spese e quindi nelle ripartizioni millesimali. Quasi mai le unità immobiliari ubicate al piano terra, prive di accesso dall'androne e dotate di ingressi indipendenti dalla strada, erano considerate nelle ripartizioni. In realtà, neppure nella citata relazione dell'allora Ministro Guardasigilli Dino Grandi, all'alba del nuovo Codice del 1942, emerge qualche chiaro elemento che possa suffragare con certezza l'interpretazione dettata dalla Cassazione mentre è chiara la volontà del legislatore di modificare il criterio di ripartizione previsto nel vecchio Codice, ma riferendosi sempre e solo a quelle unità con destinazione d'uso non abitativa, come soffitte, palchi morti, ecc., comunque ubicate a piani raggiunti direttamente dalla scala e non a quelle al piano terra.
Le motivazioni addotte dalla Giustizia Legittimità per controvertere tale interpretazione e prassi estimativa, tuttavia, sono senz'altro pertinenti ma, in alcuni casi, nonostante abbiano ricomposto precedenti divergenze, hanno portato a maggiori difficoltà pratiche. In alcune fattispecie, infatti, al piano terra degli edifici sono collocati immobili con particolare destinazione d'uso e di notevole valore, come negozi, supermercati, uffici, ecc.; conseguentemente, nelle ripartizioni, ai proprietari di simili unità immobiliari sono attribuite notevoli quote millesimali: a fronte di un uso sporadico o di un'inutilità totale della scala, agli stessi proprietari sono assegnate quote millesimali addirittura maggiori rispetto ad immobili ubicati ai piani superiori, i cui minori valori incidono maggiormente rispetto alle relative altezze di ubicazione. Di conseguenza, all'atto pratico, si trova maggiore condivisione assembleare escludendo le unità immobiliari al piano terra da tali ripartizioni ed un maggiore accoglimento da parte dei proprietari dei piani superiori ad un rispettivo addebito di maggiori spese, esonerando, o comunque limitando sensibilmente, gli addebiti a carico dei proprietari degli immobili al piano terra o al piano interrato privi di accesso dalla scala e dall'androne. Tuttavia, visto l'orientamento dominante dettato dalla Cassazione, tale criterio di applicazione sarebbe da ritenere derogatorio del criterio legale e pertanto suscettibile di approvazione soltanto con consenso unanime, rendendone quindi difficilissima la relativa validità; di contro, quello che includerebbe anche i proprietari dei piani terra, sarebbe invece criterio legale approvabile con la semplice maggioranza qualificata ma che, nel caso gli immobili al piano terra possiedano un elevato valore ed i rispettivi proprietari non condividessero il suddetto criterio, determinerebbe comunque ulteriori difficoltà di approvazione.
Con una particolare Sentenza della Cassazione, forse si è proprio voluto considerare simile situazione: si è affermato che limitatamente alla ripartizione delle spese di illuminazione e pulizia della scala non sia applicabile quanto sancito dal 1° comma art. 1124 c.c. poiché, ripartendo metà della spesa in base al valore delle unità immobiliari, derogherebbe in parte al criterio dettato dal 2° comma dell'art. 1123 c.c. in merito alla diversa utilità della cosa comune. Secondo tale Sentenza, pertanto, la differente utilità della scala, e quindi il maggior uso a favore dei proprietari dei più alti, dovrebbe tradursi in una ripartizione delle relative spese, limitatamente a quelle di pulizia ed illuminazione, basata esclusivamente sul criterio dell'altezza di piano (Cass. Civ. Sez. II n. 432/2007). Se è vero che tale criterio porrebbe rimedio a quelle ripartizioni delle spese che in alcuni casi risultano sproporzionate per alcuni condomini rispetto all'effettivo e scarso utilizzo della scala, la pronuncia in questione non può che lasciare numerosi dubbi. Innanzi tutto, esaminando la relazione di Dino Grandi, sembrerebbe che il criterio dettato dall'art. 1124 c.c. preveda, imprescindibilmente, l'applicazione congiunta dei calcoli delle due metà della spesa e che, pertanto, entrambi costituiscano un unico criterio di ripartizione che consideri sia il maggior uso delle scale a favore dei proprietari più alti ma senza aggravare eccessivamente l'onere di questi ultimi. Infatti, l'applicazione integrale ed esclusiva del criterio basato soltanto sull'altezza dei piani, era quello previsto all'art. 565 del vecchio Codice del 1865 che proprio il legislatore, come da lui stesso precisato nella relazione, voleva correggere poiché ritenuto non equo e proprio tramite l'applicazione del criterio delle due metà della spesa. Il criterio dettato dalla Cassazione, inoltre, troverebbe difficoltà applicativa in quei numerosi casi in cui vi siano unità immobiliari ubicate al piano terra, ma comunque accessibili dall'androne o dal vano scala, che usufruiscono dello stesso impianto di illuminazione a servizio anche dei piani superiori; secondo tale criterio, infatti, tali immobili non potrebbero essere compresi nelle ripartizioni di spesa, essendo la loro altezza di piano pari a zero, e nonostante utilizzino tali servizi ed impianti.
Si può rilevare che, a conclusione di quanto testé esposto, sebbene la conflittuale giurisprudenza su tale argomento sia stata in molti casi autorevolmente ricomposta, rimangono numerose divergenze di interpretazione della norma; l'argomento in questione, infatti, sembrerebbe manifestare un andamento nel quale, proprio molte delle suddette interpretazioni, vadano ben oltre le volontà del legislatore, presentando estensioni o restrizioni che, verosimilmente, hanno fatto dire alla norma ciò che la norma stessa non contiene. Proprio questo argomento in particolare, come altri legati all'ambito condominiale e, specificatamente, alle ripartizioni millesimali degli edifici in condominio, mettono in luce la necessità di puntuali interventi legislativi che oltre a semplificare l'attività degli operatori professionali del settore nella relativa traduzione pratica, potrebbero senz'altro limitare il ricorso all'attività giudiziaria in un ambito dove il ricorso a tale rimedio è già altissimo.

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