Condominio

L’intervista: Guerino De Santis e il decoro architettonico

di Francesco Schena

La tutela del decoro e dell'aspetto architettonico è, da sempre, oggetto di contenzioso in condominio e la giurisprudenza è continuamente chiamata ad intervenire con l'auspicio di porre dei punti fermi sulla questione. Ma la casistica è davvero numerosa e, ancora oggi, dopo una copiosa giurisprudenza si fa molta fatica a dare soluzione ad ogni singolo caso.
Oggi ne parliamo con l'Avvocato Guerino De Santis, Avvocato del Foro di Foggia che si occupa da anni delle problematiche giuridiche in materia condominiale ed immobiliare, Direttore Generale di ISFIC – Istituto Superiore per la Formazione Immobiliare e Condominiale – di Bologna.
Avvocato De Santis, un caso interessante è quello dei dehors che affollano i marciapiedi e le strade delle nostre città. Cosa possiamo dire al riguardo?
Una piattaforma, delimitata da ringhiere e coperta di ombrelloni, realizzata all'esterno, in adiacenza al portone d'ingresso dell'edificio condominiale, può costituire lesione del decoro architettonico? Sì, il dehors, ancorato alla parete condominiale, modifica la simmetria del fabbricato e diventa dunque lesivo del decoro architettonico dell'edificio ex art. 1120 c.c.
La Corte di Cassazione con l'ordinanza 18 gennaio 2018 n. 1235 – Rel. Scarpa- ribadisce che per gli effetti degli artt. 1102 e 1120 c.c. il decoro architettonico attiene a tutto ciò che nell'edificio è visibile e apprezzabile dall'esterno.
Il concetto di decoro architettonico è stato creato dalla giurisprudenza laddove vi erano sistematiche variazioni dei prospetti dei palazzi condominiali. Solo successivamente la legge di riforma ha codificato il principio inserendolo nel più ampio concetto della stabilità e sicurezza del fabbricato, per esempio quando ha stabilito i limiti di cui all'art. 1120 bis c.c.
Ci sono delle connessioni tra alterazione estetica e danno patrimoniale?
Nella giurisprudenza si è chiarito che nell'ipotesi di mutamento di rilevante impatto sull'assetto originario dell'edificio il pregiudizio estetico deve ritenersi insito in quello economico, con conseguente esonero della parte di una specifica rappresentazione - e del giudice di una distinta motivazione - di entrambi i profili (Cass. civ., sez. II, 31 marzo 2006, n. 7625; Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2004, n. 1025; Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16098; Cass. civ., sez. II, 24 marzo 2004, n. 5899).
A fronte, invece, di opere di minor impatto sulla fisionomia dell'edificio la giurisprudenza concede alla parte interessata alla conservazione di tale modificazione la possibilità - ed il relativo onere - di provare che l'opera apporti a sua volta utilità, a vantaggio di tutti i condòmini, suscettibili di compensare il modesto pregiudizio inferto all'assetto originario dell'edificio. Tale meccanismo compensativo può essere, quindi, idoneo a giustificare l'installazione di nuovi impianti volti ad accrescere la qualità dei servizi resi alle singole unità abitative, elevandone lo standard di godimento: di qui, a titolo esemplificativo, l'accertamento della liceità del nuovo ascensore (Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334) e la legittimità della deliberazione sulla destinazione a parcheggio di una porzione del giardino, Cass. civ., sez. VI/II, 12 luglio 2011, n. 15319 ).
Avvocato De Santis, in molti sostengono che l'alterazione del decoro architettonico dell'edificio debba essere valutata in relazione a precise circostanze di tempo e di condizione del medesimo fabbricato. Come si è espressa la giurisprudenza su questo aspetto?
Si tratta di stabilire se l'alterazione del decoro architettonico sia da accertare con riferimento alla condizione «attuale» dell'edificio, al momento cioè in cui si inserisce la nuova opera, oppure a quella “originaria”, così come progettata e realizzata dal costruttore. Al riguardo la giurisprudenza non ha fornito un indirizzo univoco.
Talune pronunce tendono a privilegiare una nozione dinamica del pregio estetico del fabbricato, nel senso quindi di escludere l'illecito allorché il decoro originario sia stato già compromesso da precedenti interventi modificativi che hanno inciso sull'assetto nativo dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 2014, n. 26055; Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2009, n. 4679; Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2007, n. 21835; Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16098).
Altre, invece, argomentano che ciascun condomino conserva, ai sensi dell'art. 1120 c.c., il diritto al ripristino delle caratteristiche originarie del fabbricato, a prescindere dalle decisioni assunte dalle mutevoli maggioranze assembleari, mentre il riguardo al solo stato attuale dell'edificio, con le modificazioni in fatto già apportate medio tempore, finirebbe per legittimare qualsiasi progressiva involuzione dei connotati estetici del fabbricato (Cass. civ., sez. II, 19 giugno 2009 n. 14455; Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2007, n. 851; Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2003, n. 12343).
Ad una corretta soluzione della questione può pervenirsi considerando, in primo luogo, che il decoro architettonico rientra tra i valori che non possono essere incisi in forza di una delibera assembleare, neppure con la maggioranza qualificata prevista per le innovazioni (art.1120, comma 4, c.c.), sicché la mera inerzia del condominio nella repressione di pregressi interventi degradanti non implica di per sé la maturazione di una situazione irreversibile per l'assetto dell'edificio; ciascun condomino conserva, infatti, il diritto al ripristino della condizione originaria a tutela della rispettiva proprietà, comune ed esclusiva, configurandosi la relativa azione come imprescrittibile ex art. 948 c.c., salva la maturazione dell'usucapione del contrapposto diritto al mantenimento della situazione lesiva (Cass. civ., sez. II, 7 giugno 2000, n. 7727).
Da ultimo, occorre rilevare come più il fabbricato sia visibile ai terzi (pubblica via, piazza importante) è più viene in rilievo la lesione del bene architettonico.

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