Condominio

Ascensore, gli accordi vanno rispettati

di Valeria Sibilio

Nell'ambito dell'universo condominiale, la realizzazione di una opera, rientrante nella categoria giuridica delle innovazioni, che implicherebbe una notevole alterazione della entità sostanziale e della destinazione originaria della cosa comune - come, ad esempio, un ascensore - può scatenare interrogativi riguardanti la necessità o meno della maggioranza dei condòmini per ottenere il permesso alla sua realizzazione.
L'ordinanza n°2050 del 2019 della Cassazione ha affrontato questa problematica trattando un caso originato dal ricorso di uno dei due condòmini di un condominio napoletano nei confronti dell'altro, chiedendo l'annullamento della delibera con la quale l'assemblea condominiale aveva approvato, a maggioranza semplice, il progetto di realizzazione dell'impianto di ascensore, sul rilievo che, oltre a dover essere adottata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c. ed all'art. 3 del regolamento condominiale, tale progetto aveva previsto la riduzione della larghezza delle scale sotto il limite di legge di cm.120. Costituendosi in giudizio, la seconda condòmina interventrice ed il condominio sostenevano la discrezionalità della maggioranza assembleare in quanto, trattandosi di un'opera volta al superamento delle barriere architettoniche, poteva essere approvata con la maggioranza semplice di cui all'art. 2 della I. n. 13 del 1989. Inoltre, l'installazione dell'ascensore costituiva l'esecuzione di un impegno negoziale già assunto dalle originarie ed uniche proprietarie del fabbricato in data 23/12/1988, con il quale le stesse avevano sciolto la comunione tra loro sulle varie unità immobiliari costituenti il condominio. Una scrittura privata che, a detta della ricorrente, conteneva una clausola compromissoria che il tribunale, accogliendo l'impugnativa che annullava la delibera assembleare, aveva ritenuto fondamentale per determinare l'obbligo della maggioranza dei due terzi dei millesimi richiesta, anche in caso di condominio minimo, tenuto conto anche che l'installazione dell'ascensore veniva a determinare la difformità della struttura ad altri importanti standard normativamente previsti a tutela dei soggetti portatori di handicap. La presenza della clausola compromissoria determinava, per il Tribunale, anche l'improponibilità della domanda proposta dall'interventrice.
Quest'ultima vedeva accogliere parzialmente dalla Corte di Secondo Grado sia il proprio appello principale, teso a chiedere l'accoglimento delle domande riconvenzionali avanzate nel corso del giudizio di primo grado, che quello incidentale del condominio. Pur dichiarando l'infondatezza del primo motivo di appello principale, con il quale aveva lamentato l'erronea declaratoria di improcedibilità delle domande dalla stessa proposte sul fondamento della scrittura privata, ha ritenuto la fondatezza del secondo motivo, risultando evidente che il tribunale aveva errato nel richiamare il regolamento condominiale e non l'articolo 3 del contratto tra le parti dove si chiariva che, con tale accordo, venivano rimossi tutti gli ostacoli per la realizzazione dell'ascensore, la cui installazione non richiedeva un'ulteriore delibera da parte del condominio, chiamato ad esprimersi più su questioni di carattere secondario.
L'attrice, in primo grado ricorrente, proponeva la cassazione della sentenza basandosi su quattro motivi, ai quali resisteva l'interventrice, censurando, nel primo motivo, il fatto che la Corte avesse ritenuto che quest'ultima fosse legittimata a proporre appello nonostante, trattandosi di delibera relativa alla gestione di un servizio comune, la legittimazione all'impugnazione spetti esclusivamente all'amministratore del condominio. Inoltre, il diritto a tutelare la scrittura privata non verrebbe esercitato in via autonoma ed individuale, ma all'interno di un'assemblea condominiale, la cui deliberazione è subordinata alle normative in tema di impugnazione e di eventuale appello.
Un motivo che, per gli ermellini, è risultato infondato, evidenziando che, essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, i singoli condomini hanno sia il potere di agire a difesa di diritti connessi alla partecipazione che quello di intervenire nel giudizio per il quale tale difesa sia stata legittimamente assunta dall'amministratore e di avvalersi dei mezzi d'impugnazione per evitare effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti dell'amministratore stesso che non l'abbia impugnata.
Con il secondo motivo, la ricorrente censurava il fatto che la corte d'appello avesse ritenuto che la delibera assunta dall'assemblea fosse valida perché fondata sulla volontà espressa dalle sottoscrittrici nella scrittura, incorrendo nell'errore, sia di ritenersi incompetente a decidere su un atto, sia di ritenere tale atto produttivo di effetti e vincolante tra le parti, dichiarando la delibera conforme alla legge, aggiungendo, nel terzo motivo di ricorso, che, per la Corte, l'installazione dell'ascensore era già stata decisa nella scrittura, lasciando alla deliberazione dell'assemblea solo la scelta dell'impianto e le modalità di realizzazione dell'opera, senza le maggioranze dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio. Due motivi trattati, dalla Suprema Corte, congiuntamente e ritenuti infondati. La Corte d'Appello non aveva smentito gli accordi sottoscritti in precedenza dai due attori, limitandosi, ad affermare l'improponibilità della domanda di adempimento personalmente proposta dalla interventrice in ragione della propria competenza arbitrale. La decisione di installare l'ascensore, non costituiva, come pretendeva la ricorrente, un accordo tra privati senza effetti nei confronti del condominio, ma di un atto ad esso direttamente imputabile sul piano giuridico. L'assemblea condominiale, pertanto, a fronte della decisione già assunta dal condominio, era chiamata a decidere solo delle relative modalità esecutive, senza richiedere la maggioranza qualificata imposta per le innovazioni.
Gli ermellini hanno ritenuto infondato anche il quarto ed ultimo motivo di ricorso legato alle disposizioni in tema di sicurezza relative alla misura delle scale che, per la ricorrente, sarebbero imperative. Le “specifiche” riguardanti l'ampiezza di una parte comune come le scale, non sono inderogabili, per cui la corte d'appello, nella parte in cui aveva ritenuto che, in ragione degli impegni assunti, le parti avevano inteso implicitamente derogare a tale disciplina, aveva fatto corretta applicazione delle relative norme senza meritare le censure svolte dalla ricorrente.
La Corte ha, così, rigettato il ricorso, condannando la ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, liquidate, per ciascuno di essi, in euro 3.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%.

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