Condominio

Niente asilo nido in condominio se nel regolamento c’è il divieto

di Augusto Cirla

L’asilo nido non può stare nel condominio se il regolamento lo vieta.

Il regolamento di origine contrattuale, vale a dire quello predisposto dal costruttore o dall’originario unico proprietario, può quindi prevedere limitazioni alla proprietà privata, anche elencando le attività vietate all’interno delle singole unità immobiliari, a patto che tali limitazioni e impedimenti risultino da espressioni rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito.

L’intenzione di comprimere le facoltà dei singoli condòmini sulla loro proprietà privata deve cioè risultare da espressioni chiare e non suscettibili di dar luogo a incertezze. Questo è il principio su cui si è fondata la decisione con cui la Corte di appello di Milano (sentenza n.3709 del 31 luglio 2018, si veda il Quotidiano del Sole 24 Ore - Condominio del 10 dicembre scorso ) ha confermato la piena legittimità della delibera del condominio che aveva giudicato la destinazione di locali ad asilonido contraria al regolamento.

l divieti del regolamento

Il regolamento contiene le norme che disciplinano la vita condominiale e vincola sia i condomini che gli inquilini. Nel caso in esame il regolamento prevedeva il divieto di destinare gli appartamenti non solo a un uso diverso da quello stabilito nei singoli atti d’acquisto, ma anche ad una serie di attività specificatamente indicate, tra cui quella di scuola di musica,canto e ballo. La delibera dell’assemblea che vietava la destinazione ad asilo nido perché considerata contraria al regolamento non era né in contrasto con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, né confliggeva con l’intenzione comune dei condòmini ricostruita dai giudici. Non era infine contrario a logica o incongrua.

Quanto al primo profilo, la destinazione dell’immobile ad uso ufficio indicata nell’atto di acquisto non poteva parificarsi a quella di asilo nido a cui il conduttore aveva adibito il bene locatogli, poiché l’attività di asilo nido benché similare alla prima sotto il profilo urbanistico (appartiene allo stesso raggruppamento), dal punto di vista privatistico non si conforma al chiaro divieto del regolamento, nel quale i condomini avevano invece voluto restringere la possibilità di passaggio da una destinazione all’altra.

L’attività di asilo nido rientra infatti fra quelle attività che il regolamento espressamente vietava, ben potendosi configurare come un scuola ove si pratica sia musica che canto, oltre ad altre attività didattiche comportanti, anche in ragione dell’affollamento dell’utenza, quella rumorosità che i condomini avevano voluto evitare.

Il ragionamento della Corte milanese, d’altro canto, ha fatto tesoro dell’ormai consolidato principio per cui l’interpretazione del giudice dei limiti di destinazione che il regolamento condominiale può imporre alle facoltà di godimento dei condomini delle unità immobiliari di cui sono proprietari, deve basarsi sia sull’elencazione di attività vietate ma anche sui pregiudizi che si intende evitare (Cassazione 19229/2014).

In ogni caso, solo il regolamento di natura contrattuale può limitare la sfera di proprietà dei singoli condomini. L’assemblea non può invece deliberare in tal senso, a meno di una specifica ed espressa accettazione da parte di tutti i partecipanti al condominio e non dei soli intervenuti in assemblea. Tali limitazioni non incidono però sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino: rientrano infatti nella categoria delle servitù atipiche e le singole clausole vanno poi trascritte per renderle opponibile ai successivi acquirenti. (Cassazione 6769/2018).

Le nuove attività

Il rilievo assume importanza in un momento in cui cresce l’utilizzo degli appartamenti come B&B o Airbnb. Si tratta infatti di attività che difficilmente compaiono tra quelle vietate nei regolamenti, al pari, seguendo la casistica più frequente, dei mutamenti di destinazione in attività comunque pregiudizievoli per la sicurezza e la tranquillità dei condomini.

L’assemblea non può quindi, con la sola maggioranza, aggiungere nuovi limiti all’uso della proprietà esclusiva. Serve in questi casi l’aiuto del giudice, sempre che, di fatto, si riesca a provare il concreto pregiudizio subito dai condomini.

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