Condominio

Il conto corrente «calderone» è appropriazione indebita: 3 anni di reclusione all’amministratore

di Paolo Accoti

In base all'articolo 646 del Codice penale chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria di denaro di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 1.032,00 euro. La procedibilità del reato, tuttavia, risulterà d'ufficio qualora ricorra taluna delle circostanze indicate nel numero 11 dell'articolo 61 Cp e, in particolare, se il fatto è stato commesso con abuso di autorità o di relazioni domestiche ovvero con abuso di relazioni d'ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione o responsabilità.
Ciò posto, occorre premettere come, dopo la riforma del condominio attuata con la legge 220/2012 che ha portato, tra l'altro, alla modifica dell'art. 1129 Cc, sono stati cristallizzati i principi già espressi dalla giurisprudenza civile per i quali l'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio e che, inoltre, lo stesso non può gestire il condominio con modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condòmini sotto pena, in mancanza, di revoca giudiziale.
Spesso, come nel caso trattato dalla Cassazione nella sentenza 57383/2018 , tale “allegra” gestione comporta anche conseguenze di ordine penale, potendosi configurare a carico del disinvolto amministratore l'ipotesi dell'appropriazione indebita, per come sopra descritta (si veda anche, molto recente, la pronuncia del Tribunale di Milano del 5 dicembre scorso ).
In particolare, è stato ritenuto responsabile del reato di appropriazione indebita, con l'aggravante di aver commesso il fatto abusando della prestazione d'opera, l'amministratore che, dopo aver accesso a suo nome un conto corrente bancario, cosiddetto conto di gestione, nel quale confluivano i fondi di diversi condomini dallo stesso amministrati, provvedeva poi ad effettuare i pagamenti relativi alle spese di tali condomini.
A tal proposito, infatti, accertato pacificamente l'anzidetto meccanismo con il quale l'amministratore gestiva i condomini dallo stesso amministrati, è stato ritenuto evidente come, una volta confluite tutte le somme sul conto “comune”, risultava “fisiologico” e “automatico” che le spese di un condominio siano state pagate con i soldi di un altro condominio e, conseguentemente, integrato il reato di appropriazione indebita per distrazione.
Ciò deriva dal fatto che già la sola distrazione di tali fondi confluiti su un conto corrente “di gestione” intestato all'amministratore e destinato ai relativi pagamenti, risulta idonea, in assenza di autorizzazione assembleare, ad integrare l'ipotesi delittuosa in questione.
Infatti accadeva che il Tribunale di Milano riconosceva un amministratore di condominio responsabile del reato di appropriazione indebita aggravata e continuata, ex art. artt. 81, 646, 61 nn. 7 e 11 Cp, e lo condannava alla pena complessiva di anni 5 di reclusione ed euro 4.800 di multa, oltre a risarcire i danni patiti dalle costituite parti civili.
La Corte d'Appello di Milano, rideterminava la pena in considerazione della prescrizione maturata per alcuni episodi di appropriazione e condannava, conseguentemente, l'amministratore, alla pena di anni 3 e mesi 1 di reclusione ed euro 2.700 di multa, confermando per il resto la sentenza di primo grado.
Proposto ricorso per cassazione, nel quale l'imputato eccepiva diverse presunte violazioni di legge, la Suprema Corte nel merito della questione dava conto della circostanza per cui il <<meccanismo pacificamente posto in essere dal …. (ndr. amministratore) che, come accennato, aveva acceso un conto corrente a lui intestato e nel quale aveva fatto confluire gli importi accreditati sui conti correnti dei singoli condomini per poi utilizzare la provvista così formata per effettuare tutti i pagamenti relativi a tutti i condomini; in tal modo, infatti, una volta confluite tutte le somme sul conto “comune”, è evidentemente fisiologico e “automatico” che le spese di un condominio siano pagate con i soldi di altro condominio …>>.
Riteneva, quindi, che <<la questione … relativa alla integrazione del delitto di appropriazione indebita che, … correttamente, i giudici di merito hanno individuato nella “distrazione” degli importi accreditati sui singoli conti correnti per esser fatti confluire nel conto “comune”>>, in virtù del fatto che <<non v'è dubbio che la sola “distrazione” dei fondi confluiti sui singoli conti correnti dei singoli condomini ed il loro accredito, in assenza di autorizzazione, su un conto corrente “di gestione” intestato ad esso imputato e destinato ai pagamenti di tutti i condomini da lui amministrati sia condotta idonea ad integrare il delitto di appropriazione indebita correttamente contestato.>>.
Nel caso concreto, infatti, <<non è evidentemente configurabile, tra i diversi condomini amministrati dal …. (ndr. amministratore), alcun legame di “gruppo” sicché nemmeno in astratto è possibile immaginare un vantaggio per il singolo condominio a veder confluire le sue risorse in un calderone unitario dal quale attingere per i pagamenti di tutti.>>.
Ebbene, conclude la Corte di Cassazione, così ricostruita la vicenda, assolutamente irrilevante appare anche la circostanza relativa all'effettivo utilizzo di parte delle somme versate nel conto corrente “di gestione” per i pagamenti dovuti ai fornitori dei singoli condomini.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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