Condominio

Sottotetto condominiale? Niente sopraelevazione dell’ultimo piano

di Valeria Sibilio

Quando sussiste la possibilità di due o più interpretazioni nell'esame di una clausola contrattuale, non è consentito, alla parte che propone quella poi disattesa dal giudice del merito, lamentarsi, in sede di legittimità, che sia stata privilegiata l'altra. Un'osservazione risultato dell'esame, in Cassazione, dell'ordinanza 29337 del 2018 nella quale il fatto in causa traeva origine dall'atto di citazione notificato da due condòmini, proprietari di un immobile, i quali convenivano in giudizio il proprio condominio, chiedendo l'accertamento del loro diritto a sopraelevare e destinare la porzione di sottotetto di loro proprietà esclusiva, nonché la condanna del condominio al risarcimento dei danni derivanti, a loro dire, dal diniego di assenso al suddetto intervento edilizio da parte del Condominio stesso.
Quest'ultimo, costituendosi in giudizio, contestava integralmente la domanda attorea, proponendo domanda riconvenzionale volta a far dichiarare l'insussistenza del diritto vantato dagli attori.
Il Tribunale di Torino dichiarava inammissibile la domanda di risarcimento danni proposta dai ricorrenti, e, accertato il diritto dei medesimi ad eseguire gli interventi edilizi oggetto del giudizio, rigettava la domanda riconvenzionale di accertamento negativo proposta dal Condominio, compensando interamente tra le parti le spese di lite.
Contro tale sentenza, quest'ultimo proponeva appello, ritenendola giuridicamente errata in ragione della normativa regolamentare. Gli appellati proponevano appello incidentale sulla disposta compensazione delle spese. I Giudici di Secondo Grado accoglievano l'appello, rigettando la domanda proposta dalle parti appellate, condannandole al pagamento delle spese dell'intero giudizio, motivando la sentenza con la normativa regolamentare, nella quale è previsto che la sopraelevazione era solamente quella consistente nella edificazione di un sesto piano completo e non con una semplice trasformazione del sottotetto mediante il recupero dello stesso, precisando la chiara strumentale qualificazione del reale recupero del sottotetto ai fini abitativi come fittizia sopraelevazione, al fine di eludere le clausole convenzionali del regolamento.
Per la Corte, quella oggetto di causa, non era una sopraelevazione contrattualmente prevista, trattandosi di una utilizzazione, diversa rispetto a quella sua propria, del sottotetto, vietata dalla clausola contrattuale di cui all'art. 1 comma 3 del Regolamento condominiale.
I proprietari proponevano ricorso in Terzo Grado affidandosi ad un motivo, al quale resisteva il Condominio con controricorso, nel quale sostenevano che la Corte Distrettuale avrebbe, erroneamente, ritenuto che l'obbligo imposto ai sopraelevatori di rifacimento della copertura e di innalzare le canne fumarie fosse riferibile alla realizzazione di un nuovo tetto, non tenendo conto, invece, che, comunque, il prolungamento delle canne fumarie sarebbe stato coerente, anche con l'innalzamento di una falda del tetto per raggiungere le altezze abitabili. Inoltre, avrebbe arbitrariamente ritenuto che il regolamento configura come sopraelevazione solamente l'edificazione di un ulteriore piano, completo al di sopra dei cinque esistenti. Nell'interpretare il Regolamento condominiale, la Corte non avrebbe tenuto conto neppure di ciò che si pratica, generalmente, nel luogo in cui il contratto è stato concluso e non avrebbe tenuto conto che il condominio aveva già manifestato una volontà di adesione all'utilizzabilità abitativa del sottotetto.
I ricorrenti lamentavano la non esaustiva spiegazione della Corte sul perché l'innalzamento di una delle falde del tetto non fosse sufficiente a definire come vera e propria sopraelevazione il progetto degli attori.
Per la Cassazione il motivo è apparso infondato. L'attività dell'interprete finalizzata a determinare una realtà storica ed obiettiva, quale è la volontà delle parti, è una tipica attività di accertamento, in fatto istituzionalmente riservata al Giudice del merito e censurabile in cassazione solo e nell'ipotesi in cui il Giudice del merito abbia violato un canone o i canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 cod. civ., oppure abbia applicato in modo scorretto quei canoni. Per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data del giudice del merito al contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, così che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l'altra.
Nel caso in esame, la Corte distrettuale aveva operato correttamente, ricercando il significato delle clausole regolamentari richiamate, seguendo i canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. e non limitatandosi a richiamare la normativa regolamentare, ma indicando le ragioni per le quali dal regolamento condominiale potesse desumersi che il sottotetto è, e resta, di proprietà dell'avente diritto, chiarendo che la clausola sub 3 regola il diritto di sopraelevazione, specificando che correlato all'esercizio di tal diritto è l'obbligo di rifacimento del tetto e di prolungamento degli impianti tecnologici dell'edificio, in modo tale da mantenerli al di sopra del nuovo tetto. Il significato di tale seconda clausola contrattuale chiarisce che il regolamento configura come sopraelevazione solamente l'edificazione di un ulteriore piano - il sesto, appunto - completo, al di sopra dei cinque esistenti. Solo in tal modo, si spiegano gli obblighi sia di rifacimento del tetto, inesistente in diversa ipotesi, che di prolungamento di canne fumarie etc. Se per “sopraelevazione” il regolamento avesse inteso la semplice trasformazione del sottotetto in unità abitativa abitabile, non avrebbe chiaramente disposto l'obbligo contrattuale suddetto a carico del soggetto esercitante il suo diritto di sopraelevazione. La Corte distrettuale, inoltre, ha avuto cura di spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto che le osservazioni degli appellati non fossero condivisibili.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando i ricorrenti a rimborsare, alla parte controricorrente, le spese di giudizio, liquidate in euro 3.200,00, di cui euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali pari al 15% del compenso e accessori come per legge.

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