Condominio

Contabilizzatori, tanti litigi ma solo il 5% di risparmio

di Gabriele Maldini

I contabilizzatori di calore, quei piccoli apparecchi che hanno invaso le case degli italiani, presenti su decine di milioni di caloriferi, non stanno dando i risultati sperati. Quanto meno sotto il profilo del risparmio. I dati generali parlano di un risparmio globale di circa il 5% se non sono stati fatti interventi reali come coibentazioni o cappotti termici. E di innumerevoli liti fra condòmini. Un tema, quello dei contabilizzatori, che ritorna di interesse nel momento in cui ormai in tutta Italia sono accesi gli impianti di riscaldamento.

I problemi si concentrano in primo luogo sui «consumi involontari», che la nuova norma Uni 10200 (versione 2018) ha accompagnato ai «millesimi energetici». Il termine «consumi involontari», è diventato di uso comune anche se spesso si finisce per denominarli «costi fissi». Questa componente va corrisposta da tutti i condòmini, anche quelli che nell’arco dell’intera stagione termica non hanno generato consumo. Inoltre, e di questo si parla poco, la bolletta condominiale prevede quasi sempre costi fissi che sono determinati da voci presenti in fattura e che non hanno a che fare i consumi, volontari o involontari che siano: impegni contrattuali, nolo del contatore, oneri amministrativi vari e così via. Queste spese, al netto di adeguamenti contrattuali, rimangono costanti e indipendenti dai consumi effettivi.

L’impatto delle componenti indipendenti dal consumo sui costi globali della bolletta condominiale varia notevolmente da caso a caso: risulta molto contenuto nelle forniture di gas metano mentre può arrivare anche oltre il 30-40% del totale nei casi di teleriscaldamento. Insomma, un bel pagare per chi non consuma.

La nuova norma Uni 10200, pur introducendo un concetto di suddivisione degli oneri, non affronta esplicitamente questo problema. Probabilmente, anche in considerazione del fatto che nel caso del teleriscaldamento i pesanti oneri contrattuali sono determinati dalla potenza contrattuale, e risulterebbe più corretto suddividere queste voci in base ai millesimi di potenza o ricorrendo alle vecchie tabelle di riscaldamento approvate dall’assemblea. L’applicazione richiede un’analisi dettagliata delle bollette della stagione termica e ciò risulta utile anche alla verifica degli importi considerati. La nuova norma Uni 10200, nel tentativo di correggere le ingiustizie, crea un’ulteriore complicazione introducendo la «Quota per potenza termica impegnata» nella quale vanno sia i costi dei consumi involontari sia gli oneri gestionali, questi ultimi intesi come i costi di manutenzione e gestione dei servizi di centrale termica e contabilizzazione del calore.

Non è tutto. Altro problema è quello di chi ha la sfortuna di avere l’appartamento nelle zone più fredde dello stabile (primo e ultimo piano, pareti esposte a nord): questi, a parità di metri quadrati, spendono molto più di chi ha la casa in posizione vantaggiosa. Poi ci sono le seconde case: si sa che i costi di impegno contrattuale per mantenere la disponibilità di un servizio energetico vengono richiesti dal gestore anche per i periodi di mancato utilizzo del servizio.

Come fare per correggere queste situazioni? Anzitutto, l’assemblea di condominio può alzare la quota di spesa relativa ai «consumi volontari» oltre il 70%, non usando, cioè, la norma Uni se la differenza di consumo tra gli appartamenti «fortunati» e quelli «sfortunati» supera il 50 per cento. La nuova norma Uni 10200 prevede anche per gli «edifici ad occupazione discontinua o saltuaria o parziale» la possibilità di effettuare la ripartizione delle spese tenendo conto degli effettivi prelievi volontari, facendo ricorso al “fattore d’uso” calcolato annualmente: minore il tempo di occupazione della casa, maggiore la quota di consumo involontario.

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