Condominio

Sì ai cani nel cortile comune ma i danni vanno risarciti

di Anna Nicola

Il cortile è un bene comune degli abitanti dell'edificio
Esso rientra nel novero delle cose comuni di cui all'elenco sancito dall'art. 1117 c..c, elenco esemplificativo e non esaustivo.
Più in particolare, è nel novero dei beni che rendono più ameno e prestigioso lo stabile, non essendo qualificabile come bene necessario
Su questa scia, i condòmini possono utilizzare e servirsi del cortile sia collettivamente sia individualmente. L'uso singolo è permesso nei limiti sanciti dall'art. 1102 c.c. sulla cui base il singolo condomino può usare del bene comune senza modificarne la destinazione e permettendo comunque sempre il pari diritto d'uso da parte degli altri comproprietari
Nel caso del Tribunale di Bologna (sentenza del 5 settembre 2018), c’è un condomino proprietario di alcuni cani: è sua consuetudine lasciarli liberi di girovagare nel cortile e negli altri spazi comuni. In questi luoghi gli animali espletano i loro bisogni fisiologici; il proprietario non provvede a raccoglierli.
La situazione diventa sempre più critica per gli altri condomini: essi non possono più usare il cortile comune, costretti a sopportare odori nauseabondi e condizioni igieniche precarie. Non possono più lasciare la porta aperta del proprio appartamento, men che meno permettere ai nipotini di giocare in cortile.
I condomini decidono quindi di adire l'autorità giudiziaria chiedendo di cessare nella turbativa, non tenendo più animali liberi in condominio e chiedendo, inoltre, il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti.
Il Tribunale di Parma si è basato sull'art. 1102 c.c. per risolvere la fattispecie, sulla cui base ciascun comproprietario ha il diritto di usare e godere della cosa comune a suo piacimento, purché non ne alteri la destinazione comune e non impedisca il pari diritto di uso e godimento del bene agli altri comproprietari.
Un ruolo assolutamente importante nella individuazione della responsabilità del proprietario dei cani è dato alla documentazione ufficiale redatta dagli organi competenti, ad es. i vigili dell'ASL, che accertano la presenza di animali e il conseguente odore nauseante provocato dalle loro deiezioni che rendono ammorbante l'aria del condominio.
Quando si verificano circostanze simili, se ci si trova al cospetto di un proprietario di animali poco collaborativo e non attento alla cura dei suoi cari animali, il primo passo da compiere è quello di chiedere l'intervento delle autorità competenti che avranno l'obbligo di prendere atto, anche per iscritto, della situazione.
Il Tribunale di Roma con la sentenza 3 aprile 2017 ha riconosciuto che i cani dei condomini possono accedere al giardino condominiale, purché i padroni rispettino le norme igieniche. Non è necessario modificare la destinazione del giardino per consentire l'ingresso degli animali o la possibilità di svolgere con loro giochi non molesti.
Chi detiene animali in condominio deve tenere conto delle esigenze comuni e perciò deve evitare che l'animale disturbi il riposo e le occupazioni degli altri condomini. L'art. 844 c.c. può essere invocato quando i rumori o gli odori superano la normale tollerabilità. Gli animali devono essere sottoposti a controlli sanitari e a trattamenti di prevenzione in modo che la convivenza e l'utilizzo degli spazi comuni avvenga senza problemi per gli altri condomini.
Peraltro, com'è noto, l'art. 1138 c.c. determina che le norme del regolamento condominiale non possono più vietare di possedere o detenere animali domestici. Neanche il regolamento contrattuale di condominio può andare contro a questa disposizione. L'espressione “animali domestici” permette di escludere dall'ambito di applicazione della norma gli animali esotici o comunque non adatti per caratteristiche e provenienza ad essere tenuti in appartamento.

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