Condominio

Comunione o condominio? Un caso intricato risolto dalla Cassazione

di Valeria Sibilio

All'interno dell'universo condominiale, non sono rari i casi in cui la titolarità del diritto su di un bene immobiliare appartenga a più soggetti. Accertare se sussistano o meno le condizioni di comunione immobiliare può portare a diatribe che la giurisprudenza è tenuta a chiarire come nell'ordinanza della Cassazione 27055 del 2018 .
In origine, il Tribunale di Primo Grado, sulle contrapposte domande di due attori – uno di essi rappresentante la propria società - valutando illecite opere riguardanti un immobile, costituito da due porzioni di una villa bifamiliare, integranti aggravamento di servitù e lesione del decoro architettonico, condannava entrambe le parti in causa al ripristino ed a risarcire, reciprocamente, il danno causato all'altra parte.
Dopo il rigetto, da parte della Corte di Secondo Grado, dell'appello principale della società e di quello incidentale subordinato dell'attore, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 13121/2007, cassava con rinvio tale sentenza al fine di svolgere un'indagine per verificare la sussistenza di un condominio, seppur minimo. In sede di rinvio, i Giudici di Secondo Grado, rigettavano l'appello dalla s.a.s., reputando la violazione del decoro architettonico, avendo, con gli interventi di ampliamento e di straordinaria manutenzione eseguiti da entrambe le parti, alterato il senso originario di unità dell'architettura dell'edificio.
In Cassazione, i titolari della società proponevano ricorso sulla scorta di duplice censura, mentre l'attore resisteva con controricorso, in seno al quale sviluppava, a sua volta, ricorso incidentale al quale si opponevano i ricorrenti principali con ricorso incidentale.
Nei due motivi principali, questi ultimi prospettavano l'insussistenza tra le parti in causa di una comunione immobiliare nonché la violazione dell'art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., in quanto la Corte d'appello aveva omesso di accertare se sussistessero le condizioni del condominio minimo. La sentenza impugnata, pur escludendo tali condizioni, aveva evocato la comunione immobiliare, che, invece, non era affatto ipotizzabile, non rinvenendo alcun immobile di comune proprietà fra le parti in causa. L'originale unitarietà del progetto edilizio, risalente agli anni sessanta, non giustificava l'asserto e la comunanza di fondamenta, strutture portanti e piano di copertura non trovavano conferma nelle perizie.
La Cassazione, nella sentenza 13121/07, aveva statuito che il condominio degli edifici si instaura per legge nel fabbricato ove esistono più piani o porzioni di piano che appartengono in proprietà esclusiva a persone diverse ed ai quali è legato, in relazione di accessorietà, un certo numero di cose, impianti e servizi comuni, in quanto l'esistenza del condominio e l'applicabilità delle norme in materia non dipende dal numero di persone che ad esso partecipano. Per gli ermellini, la Corte di Appello non aveva mancato di considerare le circostanze di fatto dedotte dai ricorrenti dando atto che esiste una sola costruzione, in precedenza appartenente ad unico proprietario, e che il complesso era considerarsi un unicum e, come tale, costituiva il parametro per la valutazione dell'eventuale pregiudizio al decoro architettonico. Tuttavia, era stata applicata la norma dell'art.1120 c.c., prevista soltanto in materia di condominio, senza che sia stata accertata l'esistenza nell'immobile, almeno di un bene o di un servizio comuni, per cui la sentenza impugnata era stata cassata con rinvio ad un'altra sezione della Corte di Appello per accertare la sussistenza, nella specie, di un condominio, anche minimo. Il Giudice del rinvio aveva riconosciuto, se non gli elementi di un condominio minimo, quelli di una comunione immobiliare, tenendo conto, oltre alla originaria unitarietà del progetto costruttivo riguardante una villa unifamiliare, delle fondamenta e strutture portanti comuni dell'edificio e del piano unico di copertura.
Le emergenze di causa non consentivano, tuttavia, di rinvenire l'accertata sussistenza del condominio, non dando seguito all'affermazione dei ricorrenti, contrastata dal controricorrente, secondo la quale le relazioni dei consulenti d'ufficio non supportavano le conclusioni della sentenza impugnata, per evidente difetto di specificità, non risultando la censura supportata dalla trascrizione delle relazioni. Nei due collegati motivi di ricorso, il ricorrente incidentale evidenziava che, a fronte della decisione della Corte d'appello di compensare per intero fra le parti le spese legali successive al primo grado, il Tribunale aveva ripartito il computo in proporzione dell'entità delle modifiche illegittime apportate all'immobile (e perciò solo un terzo a carico del ricorrente incidentale), evidenziando l'inadeguatezza della motivazione, la quale, dopo aver affermato che la sentenza di primo grado meritava di essere confermata anche per le spese, poi, se ne discostava immotivatamente per quelle successive. Le censure, perciò, non possono essere accolte in quanto il richiamo di altri processi «paralleli», oltre che irrilevante, non è scrutinabile per assoluto difetto di specificità, la reciproca soccombenza è ragione giustificativa della compensazione e la misura di essa (se totale o parziale) è rimessa al libero apprezzamento del giudice di merito.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso principale e quello incidentale, compensando le spese del giudizio di legittimità fra le parti e dichiarando la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e di quello incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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