Condominio

Danno da infezione da legionella: chi risarcisce?

di Giulio Benedetti

I ripetuti casi di infezione dal morbo della legionella all'interno degli edifici ha alimentato il dibattito giuridico circa la responsabilità dell'amministratore del condominio il quale , secondo l'art. 1130 c.c., deve assicurare il sicuro godimento delle cose comuni , quale sono le tubature condominiali dal punto di consegna dell'acqua da parte dell'acquedotto al rubinetto del singolo condòmino. In dottrina vi è chi ha sostenuto, in tali casi, sempre e comunque la sussitenza della responsabilità dell'amministratore in qualità di custode della cosa comune , ai sensi dell'art. 2051 c.c. e chi ha attribuito detta responsabilità all'assemblea condominiale , avvertita del problema dall'amministratore e rimasta inerte se non ostile agli adeguamenti tecnici proposti per evitare il contagio. Sul punto opera un'adeguata riflessione la Corte di Cassazione (ord. n. 24170/2018) che ha annullato con rinvio alla Corte di Appello una sentenza che aveva rigettato la domanda al risarcimento del danno il datore di lavoro di un soggetto che era deceduto a causa di uno scompenso cardiaco per polmonite da legionella contratta all'interno di un edificio. Invece la sentenza di condanna di primo grado riconduceva la responsabilità del datore di lavoro alla sua condotta per avere mantenuto in esercizio degli impianti ,inadeguati ed insalubri, di condizionamento e di riscaldamento dell'aria , costituti da pompe di calore di vecchio tipo. Invece il giudice di appello fondava la sua motivazione sulla l'amplissima diffusione del morbo della legionella la quale non avrebbe consentito di affermare con certezza che l'infezione si fosse verificata nel luogo di lavoro. La Corte di Cassazione non condivide l'assunto del giudice di appello e ha ordinato un nuovo giudizio nel quale il giudice di merito deve accertare la sussistenza di un nesso causale tra le condotta illecita del datore di lavoro e le lesioni del lavoratore e quello tra le lesioni e il giudizio risarcibile . I principi stabiliti dalla sentenza sono i seguenti. Il giudice di rinvio deve applicare le regole causali relative e non solo statistiche e deve tenere conto che grava sul datore di lavoro convenuto la prova della ricorrenza di fatti impeditivi o alternativi ,che impediscono la ricostruzione dell'ipotesi razionalmente più probabile. Inoltre il giudice di rinvio, nella ricostruzione del rapporto causale, deve considerare il tempo intercorso tra l'esposizione al veicolo del contagio e la morte della vittima (avvenuta solo dopo 7 giorni) e le condizioni di salubrità della stanza dove la stessa lavorava . In tale contesto appaiono irrilevanti i controlli e gli interventi compiuti dal datore di lavoro al fine di accertare la causa “più probabile che non” dell'infezione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©