Condominio

Tubi del gas troppo vicini? Sulle distanze minime prevale l’uso delle cose comuni

di Edoardo Valentino

Con la sentenza Cassazione Sezione II, 25 settembre 2018, numero 22726 la Suprema Corte riafferma il principio in ragione del quale “la regolamentazione generale sulle distanze è applicabile anche tra i condomini di un edificio condominiale soltanto se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, dovendo prevalere in caso di contrasto la norma speciale in tema di condominio in ragione della sua specialità”.
Nel merito, il caso prende le mosse da un giudizio intentato in primo grado da due coniugi avverso una società che gestiva la somministrazione di gas ad uso riscaldamento nel condominio dagli stessi abitato.
Essi, in particolare, facevano rilevare come nel piano pilotis la suddetta compagnia avesse costruito e mantenuto diverse tubazioni che dalla conduttura centrale si diramavano alle varie abitazioni dei condomini.
A detta degli attori – tuttavia – tali tubazioni passavano illegittimamente in una parte del piano pilotis di loro proprietà esclusiva e di conseguenza questi domandavano al giudice di condannare la società convenuta alla rimozione dei manufatti.
Si costituiva in giudizio la società del gas affermando come tali tubazioni fossero state inserite da un'altra società (dalla quale questa chiedeva di essere manlevata in caso di soccombenza) e domandava in via riconvenzionale la costituzione di una servitù coattiva di una servitù di gasdotto per le citate tubazioni.
Il Tribunale adito, all'esito del giudizio, rigettava la domanda attorea e dichiarava assorbite le domande della convenuta.
Il motivo centrale della decisione era che era pur vero che gli attori avessero nel loro contratto di compravendita immobiliare acquistato una porzione pari al 27% del piano pilotis, ma questa non era mai stata chiaramente individuata, non consentendo di comprendere se le tubazioni insistessero su questa.
In epoca antecedente al citato acquisto, inoltre, un altro condomino aveva acquistato il proprio appartamento dal costruttore corredato di una quota di proprietà sulle parti comuni tra le quali figurava anche il piano pilotis.
Ne derivava, quindi, che gli attori fossero unicamente proprietari di una quota indivisa del piano pilotis e non potessero pretendere che la società del gas cessasse di fare uso della cosa comune dato che questo uso era stato richiesto e voluto dagli altri comunisti.
Gli attori, quindi, agivano in sede di appello, ma la Corte dichiarava il loro ricorso inammissibile ai sensi dell'articolo 348 c.p.c. dato che, allo stato degli atti, il ricorso presentato non aveva ragionevoli possibilità di accoglimento.
A seguito della duplice soccombenza i coniugi attori adivano la Corte di Cassazione affidando le loro doglianze ad un ricorso basato su quattro motivi.
In prima battuta essi contestavano come la Corte d'Appello non avesse valutato in modo corretto il contratto di acquisto dell'immobile e la relativa inclusione della proprietà esclusiva della quota del 27% del piano pilotis.
Il secondo motivo, invece, era basato sulla presunta mancata presa in considerazione di prove presentate in giudizio, e in particolare di svariati titoli di acquisto più risalenti che avrebbero comprovato la titolarità esclusiva del predetto piano pilotis.
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentavano come il rigetto della loro domanda avesse avuto l'effetto di costituire una servitù di gasdotto a favore della società del gas pur non avendone i requisiti.
Il quarto e ultimo motivo di ricorso era invece incentrato sulla presunta violazione dell'articolo 12 comma 1 del DPR numero 115 del 2002 in materia di quantificazione del conteggio del contributo unificato a carico del soccombente, che la Corte d'Appello avrebbe – a detta dei ricorrenti – violato.
Con la sentenza in epigrafe, numero 22726 del 25 settembre 2018, la Seconda Sezione della Cassazione rigettava integralmente il ricorso proposto.
In particolare secondo gli Ermellini, la Corte d'Appello aveva ben ragionato e ben valutato tutte le prove e i documenti prodotti dalle parti.
Nel caso in questione, infatti, anche se il contratto prodotto dagli attori riconosceva loro una proprietà esclusiva del 27% del piano pilotis, questa non era mai stata precisamente identificata o divisa.
Secondo la Cassazione, quindi, in assenza di divisione gli attori erano solamente proprietari di una quota indivisa e non potevano in alcun modo pretendere l'esclusione del passaggio delle tubazioni del gas, utili agli altri condomini.
Dall'analisi degli atti di causa, difatti, era risultato che – al di là della porzione sopra riportata – il piano pilotis era indicato in tutti gli altri atti di compravendita degli immobili condominiali come una parte comune e quindi questa poteva essere validamente utilizzata dagli altri condomini per consentire la fornitura di gas mediante tubazioni.
Afferma la Suprema Corte, ed è il principio cardine della commentanda decisione, come in condominio si applica la disciplina codicistica sulle distanze nelle costruzioni solamente laddove questa non contrasti con la possibilità per i singoli condomini di giovarsi delle cose comuni e ciò in applicazione del principio di specialità delle norme, che vede disapplicata la fonte di pari grado che risulta più generica rispetto alla fattispecie analizzata.
La Cassazione, da ultimo, rigettava altresì il quarto motivo di ricorso, rilavando come la Corte d'Appello avesse applicato correttamente le disposizioni in materi di contributo unificato di cui al DPR numero 115 del 2002.
All'esito della decisione, quindi, la Cassazione rigettava il ricorso e condannava i ricorrenti alla refusione delle spese legali delle controparti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©