Condominio

La Cassazione insegna a misurare le distanze delle «vedute»

di Selene Pascasi

Parametri di calcolo per misurare le distanze tra vedute sono, da un lato, la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette e, dall'altro, la linea di confine, dovendo correre dall'uno all'altro almeno un metro e mezzo.
La distanza minima da osservare, quindi, andrà calcolata con esclusivo riguardo all'immediato piano di superficie dell'apertura verso l'esterno e non al piano su cui la veduta sia stata praticata, a nulla rilevando l'eventuale maggiore distanza delle altre parti dello stesso muro.
Ad affermarlo, è la Corte di Cassazione con ordinanza n. 20690 depositata il 9 agosto 2018 (Relatore Milena Falaschi).
All’origine del contenzioso e la decisione del Tribunale di Milano di accogliere la domanda, proposta dagli attori, tesa ad ottenere dal vicino il ripristino nello stato originario di due aperture esistenti nel suo immobile. Gli si chiedeva, in sostanza, di munire le vedute di vetri opachi e inferriate fisse, adeguandole alla normativa civilistica per assicurarne la natura di luci. Ma l'uomo propone appello e la Corte lo accoglie. Una delle due aperture, ad avviso del collegio, non aveva subito alcuna trasformazione e la seconda, che vedeva installato un cancelletto nell'inferriata, era a distanza inferiore rispetto a quella indicata dall'articolo 905 del Codice civile.
Ciò, sia che la misurazione fosse stata effettuata ritenendo il muro di confine di proprietà esclusiva dell'appellante, sia che detto muro fosse stato ritenuto in comproprietà. Da escludersi, poi, la dedotta creazione di un nuovo balcone sul confine, trattandosi, al più, di una piccola soletta di copertura di un sottostante corpo di fabbrica scomodamente accessibile.
I due, però, ricorrono per Cassazione. Intanto, premettono, l'apertura non poteva dirsi posta a distanza legale, avendo il consulente misurato la distanza frontale fra la finestra in questione e la parte antistante del fondo del vicino e non di tutte le finestre sull'intero fondo. Tesi respinta dagli ermellini. In punto di misurazione delle distanze, il criterio fondamentale – sancito da un vecchio precedente ancora valido (Cassazione 1367/1970) – è quello per cui la distanza legale della costruzione dal confine o da altro fabbricato deve sussistere da ogni punto della costruzione.
Tuttavia, a tale sistema di misurazione lineare, si contrappone quello radicale «proprio delle distanze rispetto alle vedute» (Cassazione 2548/1972). Nel sostenerlo, la Corte ricorda come rispetto a queste ultime, vadano esclusi dal computo i cornicioni, i fregi e qualsiasi manufatto la cui qualificazione ornamentale e accessoria trovi evidente supporto nel fatto di non essere destinati all'esercizio della veduta (Cassazione 4773/1980).
Del resto, è il Codice civile ad imporre – come riferimento per la misurazione delle distanze dalle vedute – da un lato la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette, dall'altro la linea di confine, dovendo correre dall'uno all'altro lo spazio di almeno un metro e mezzo. La distanza minima da osservare, quindi, andrà calcolata con esclusivo riguardo all'immediato piano di superficie dell'apertura verso l'esterno e non al piano su cui la veduta sia stata praticata, a nulla rilevando l'eventuale maggiore distanza delle altre parti dello stesso muro.
A ogni modo, chiarisce la Cassazione, è inteso come tali previsioni non valgano ad attestare la legittimità dell'apertura di una veduta a distanza di un metro e mezzo dal fondo del vicino ove sia attuata nel muro di confine, mediante arretramento ad incasso nel solo piano elevato (Cassazione, 4790/1988).
Peraltro, tesi consolidata è ferma a ribadire che nell'evenienza in cui il confine tra due fondi sia rappresentato da un muro comune, il punto di arrivo nella misurazione della distanza imposta dal Codice civile per l'apertura di vedute verso lo stesso «è costituito dalla faccia del muro prospiciente l'immobile da cui la veduta è esercitata e non da quella opposta sita dalla parte del fondo di proprietà esclusiva dell'altro comproprietario del muro né dalla sua linea mediana» (tra le altre: Cassazione 2499/1986).
Non si potrà, d'altronde, neanche configurare una distanza media tra rientranze e sporgenze, viste le finalità perseguite dalla prescrizione sulle vedute. Ebbene, la Corte di Appello, concludono i giudici di legittimità, si era allineata al principio appena descritto, laddove – accertato che la distanza calcolata dal consulente tecnico d'ufficio era conforme a quella prescritta dall'articolo 905 del Codice civile – aveva correttamente accolto l'impugnazione, considerato che le aperture esistenti e rilevanti ai fini delle vedute erano due, di cui una rimasta immutata e l'altra posta a distanza inferiore a quella prevista dalla norma. Il ricorso, perciò, non poteva che essere respinto su tutta la linea.

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