Condominio

I limiti della servitù derivano anche dalle reali intenzioni dei contraenti

di Selene Pascasi

L'estensione e le modalità di esercizio della servitù vanno dedotte principalmente dal titolo, tenuto conto della comune intenzione dei contraenti, da ricavarsi non solo dal tenore letterale delle espressioni usate, ma anche dallo stato dei luoghi, dall'ubicazione reciproca dei fondi e dalla loro naturale destinazione.
Lo sostiene la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 20696 depositata lo scorso 9 agosto (Relatore Rossana Giannaccari) . È una donna a sollecitare l'intervento del Tribunale chiamando in causa sia i proprietari del fondo servente al suo terreno, gravato di servitù di passaggio, che un uomo accusato di aver abusivamente aperto un cancello sulla stradina privata dei convenuti per raggiungere più comodamente la via pubblica. La costituzione della servitù di passaggio tra i titolari dell'appezzamento servente e l'uomo violava i patti stretti tra questi e il suo dante causa, essendosi loro impegnati a non concedere ad altri la servitù. Non solo. L'aver consentito il transito limitava l'esercizio del proprio diritto, peraltro consacrato da atto notarile. Ma i citati agiscono in via riconvenzionale reclamando la nullità della clausola costitutiva di servitù.
Il Tribunale boccia la domanda della signora e la Corte di Appello ribalta le sorti del giudizio. La questione, così, arriva in Cassazione, teatro di una lite incrociata con tanto di controricorsi: il collegio del gravame, annotava il signore “colpevole” di aver messo su il cancello, aveva errato nell'attribuire natura reale e non obbligatoria all'atto di permuta e donazione intercorso tra i danti causa delle parti, con cui i proprietari del fondo servente si impegnavano a non concedere ad altri la servitù. Carattere obbligatorio che, marca, ben poteva evincersi dal dato testuale, ossia dalla circostanza che la servitù venne costituita solo ed esclusivamente per i permutanti, ormai deceduti, creando un vincolo personale estraneo alla natura delle obbligazioni propter rem privo di efficacia verso terzi e, comunque, non trasferibile.
Ancora, era stato violato l'articolo 1063 del Codice civile, non contenendo il titolo di proprietà della ricorrente alcun riferimento alla clausola prevista nell'atto costitutivo della servitù. Ricostruzione infondata per la Cassazione che, quindi, rigetta il ricorso principale. Secondo l'impostazione tracciata dalla pronuncia di legittimità 5434/2010, cui occorre aderire, la norma appena richiamata stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell'estensione e dell'esercizio delle servitù, ponendo a fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, mentre i precetti dettati dai successivi articoli 1064 e 1065 del Codice civile rivestono carattere sussidiario. Essi, dunque, andranno applicati esclusivamente qualora il titolo presenti lacune o imprecisioni non superabili mediante il ricorso ad adeguati criteri ermeneutici. Diversamente, se il contenuto e le modalità di esercizio siano inequivocabilmente determinati dal titolo, è unicamente a questo che si dovrà far riferimento.
Più precisamente, l'estensione e le modalità di esercizio della servitù andranno «dedotte dal titolo, tenendo conto della comune intenzione dei contraenti, da ricavarsi, peraltro, non soltanto dal tenore letterale delle espressioni usate, ma anche dallo stato dei luoghi, dall'ubicazione reciproca dei fondi e dalla loro naturale destinazione» (Cassazione 3306/1981). L'indagine sulla sussistenza, ad opera del proprietario del fondo servente, di atti di violazione o turbativa della servitù andrà, pertanto, condotta alla luce della sua estensione e delle sue modalità di esercizio come fissate dal titolo costitutivo, tenuto conto delle specifiche contenute con riguardo all'utilità, sempre che non abbiano mero valore indicativo, ma valgano a qualificare e delimitare il diritto (Cassazione 3942/1991). Ebbene, nella vicenda poteva dirsi corretto il ragionamento seguito dalla Corte di Appello nel ritenere le modalità di esercizio della controversa servitù determinate dall'atto costitutivo, interpretato secondo l'intenzione delle parti e lo stato dei luoghi.
La limitazione per il proprietario del fondo servente di non concedere ad altri la servitù avrebbe, infine, trovato fondamento non solo nel dato letterale dell'atto ma anche nella conformazione dei luoghi visto che l'ampiezza della strada che porta all'abitazione della ricorrente, dopo il primo tratto si riduceva a soli tre metri rendendo senz'altro meno agevole l'esercizio della servitù in caso di contemporaneo passaggio di altri mezzi. E il diritto reale parziario, conclude la Cassazione in lettura cristallizzando la scelta operata dai giudici di appello, è opponibile erga omnes così che, col trasferimento del fondo dominante, si trasferiscono anche le servitù ad esso inerenti, a nulla rilevando che sia stato, o meno, stabilito qualcosa in proposito nell'atto di trasferimento. Queste, le motivazioni poste a sostegno del rigetti del ricorso.

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