Condominio

Acqua con arsenico, le proroghe salvano lo Stato dal risarcire l’aquisto della minerale

di Giulio Benedetti

La tutela della pubblica incolumità nell'uso dell'acqua a scopo alimentare è rafforzata dal d.lgs. n. 31/2001 che recepisce nel nostro ordinamento giuridico la direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano. Il d.lgs. n. 31/2001 disciplina ( art. 1) la qualità delle acque destinate al consumo umano dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque garantendone la salubrità e la pulizia. Le acque destinate al consumo umano e contemplate nel decreto sono quelle (art. 2) trattate o non trattate destinate ad uso potabile e per la preparazione di cibi e bevande e quelle utilizzate in un'impresa alimentare per l'immissione nel mercato di prodotti commestibili dall'uomo, mentre sono escluse (art.3) le acque minerali e medicinali riconosciute , nonché le acque destinate agli usi che non hanno ripercussione sulla salute umana e individuate dal Ministero della salute di concerto con i ministri dell'industria , del commercio e dell'artigianato , dell'ambiente , dei lavori pubblici e delle politiche agricole e forestali.
Il decreto , al fine di perseguire finalità preventive, promuove la tutela della salute pubblica delle acque destinate al consumo umano attraverso una serie di obblighi (art. 4) consistenti nella salubrità e nella pulizia delle acque e nell'assenza in esse di microrganismi e parassiti , e di altre sostanze in quantità o concentrazioni che rappresentino un potenziale pericolo per la salute umana. Inoltre , in via generale, i requisiti minimi di tali acque debbono rispondere a quelli previsti dalle parti A e B dell'allegato 1 del d.lgs. n. 31/2001. Il decreto prevede (art. 5) il rispetto di tali parametri di sicurezza nei seguenti punti:
• per le acque fornite attraverso una rete di distribuzione nel punto in cui escono dai rubinetti utilizzati per il consumo umano;
• per le acque fornite da una cisterna nel punto in cui escono dalla cisterna;
• per le acque confezionate in bottiglie o contenitori , rese disponibili per il consumo umano, nel punto in cui sono imbottigliate o introdotte nei contenitori;
• per le acque utilizzate nelle imprese alimentari nel punto in cui sono utilizzate dall'impresa.
Per le acque distribuite con una rete di distribuzione qualora i parametri non siano conformi ai valori fissati nell'allegato 1 del decreto le aziende sanitarie locali sono tenute ad adottare le seguenti misure disponendo che:
• siano prese misure appropriate per eliminare il rischio che le acque non rispettino i valori di parametro dopo la fornitura;
• i consumatori interessati siano debitamente informati e consigliati sugli eventuali provvedimenti e sui comportamenti da adottare. I controlli (art. 6), da eseguirsi con analisi dei parametri dell'allegato I con le specifiche indicate nell'allegato III , devono essere eseguiti sui punti di prelievo delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, sugli impianti di adduzione , sulle reti di distribuzione , sugli impianti di confezionamento , sulle acque confezionate , sulle acque utilizzate nelle imprese alimentari, sulle acque fornite mediante cisterna.
I controlli sono di due tipi quelli interni (art. 7) e quelli esterni (art.8). I controlli interni non devono essere solo e necessariamente di natura pubblica , ma possono essere svolti anche , mediante l'attività di laboratori convenzionati , dal gestore del servizio idrico integrato al fine di verificare la qualità dell'acqua destinata al consumo umano e i punti di prelievo , in un'ottica di fattiva collaborazione con l'ente pubblico, possono essere concordati con l'azienda sanitaria locale ed i risultati devono essere conservati per cinque anni per l'eventuale consultazione con l'amministrazione che effettua i controlli esterni. I controlli esterni , affidati all'azienda sanitaria locale territorialmente competente , verificano che le acque destinate al consumo umano soddisfino i requisiti del d.lgs. n. 31/2001 e, inoltre, sono svolti tenendo conto dei risultati del rilevamento dello stato di qualità dei corpi idrici previsto dall'articolo 43 del d.lgs. 11/5/1999 n. 152 e per le acque superficiali dei risultati della classificazione effettuati secondo le modalità previste nell'allegato 2 , sezione A , del d.lgs. n. 152/1999. L'azienda sanitaria locale può svolgere ulteriori controlli con ricerche supplementari delle sostanze e dei microrganismi per i quali non sono fissati valori di parametro dell'allegato I e qualora gli impianti da controllare ricadano nel territorio di più aziende sanitarie locali il coordinamento è affidato alla regione la quale può individuare l'azienda alla quale attribuire la competenza in materia di controlli.
Il d.lgs. n. 31/2001 sancisce (art.8) il principio, fondamentale per assicurare la tutela della pubblica incolumità, per cui nessuna sostanza o materiali utilizzati per i nuovi impianti o per l ‘adeguamento di quelli esistenti , per la preparazione o la distribuzione delle acque destinate al consumo umano , o impurezze associate a tali sostanze o materiali in acque destinate al consumo umano devono essere presenti in acque destinate al consumo umano in concentrazione superiore a quelle consentite per il fine per cui sono impiegati e non debbono ridurre , direttamente o indirettamente , la tutela della salute umana prevista dal presente decreto.
La Corte di Cassazione (ord. n. 17331/2018) ha rigettato il ricorso avverso una sentenza di un Tribunale che aveva cancellato la condanna della Presidenza del consiglio dei ministri al risarcimento dei danni, liquidati in euro 900 per il periodo di dieci mesi , corrispondente alla spesa sostenuta da una famiglia italiana per l‘acquisto di acqua minerale , oltre che al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all'ansia. In particolare il ricorrente sosteneva di essere titolare di un'utenza idrica ista in un comune nel cui territorio erano stati riscontrati livelli di arsenico nell'acqua potabile superiori alla soglia di 10 microgrammi per litro individuata dalla direttiva 98/83/Ce del Consiglio dell'Unione europea. Aveva avuto ragione dal Giudice di Pace ma torto in appello, appunto, da parte del Tribunale.
La Corte di Cassazione conferma la correttezza della sentenza del Tribunale in quanto l'art. 9 della citata direttiva , come recepito dall'art. 13 del d.lgs. n. 31/2001, consente agli Stati membri di stabilire deroghe ai valori di parametro ivi fissati , per un periodo non superiore a tre anni , previa richiesta alla commissione . Le deroghe sono al massimo due , salva la possibilità, in casi eccezionali , di richiederne una terza , sempre per un triennio. La Corte di Cassazione ha accolto la tesi del Tribunale anche perché nel periodo oggetto della causa ogni richiesta risarcitoria avrebbe dovuto comportare la dimostrazione il superamento del tasso soglia stabilito in via derogatoria temporanea. Il ricorso è stato respinto perché è evidente che è il danneggiato a dovere provare il fatto costitutivo della pretesa risarcitoria (il superamento della soglia) e perché è stato ricostruito erroneamente il testo della direttiva.

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