Condominio

L’intercapedine tra box e complesso immobiliare è una parte comune

di Paolo Accoti

L'intercapedine che separa il box dal complesso condominiale è parte comune dell'edificio, pertanto, illegittima si appalesa la sua eliminazione mediante incorporamento all'interno della rimessa di proprietà privata del condomino.
Peraltro, il verbale redatto dagli agenti della polizia municipale che attesti come l'inglobamento dell'intercapedine sia avvenuto già in fase di costruzione dell'intero complesso condominiale, non può avere rilevanza, qualora i suddetti verbalizzanti non siano stati sentiti come testimoni a conferma di quanto redatto, se dal documento non risulta comunque possibile dedurre su quali basi si sia pervenuti ad una tale conclusione.
Questi i principi espressi nell'ordinanza n. 19849, della Corte di Cassazione, pubblicata in data 23 luglio 2018.
Il condominio, nella persona del suo amministratore, evocava in giudizio i coniugi proprietari di un appartamento con annesso box presente all'interno del fabbricato condominiale, per il rilascio - previo ripristino dello stato dei luoghi - dell'intercapedine esistente per tutta la lunghezza del box, da ritenersi parte comune dell'edificio, siccome illegittimamente inglobato dagli stessi all'interno della suddetta rimessa.
I convenuti contestavano la domanda deducendo che tale situazione risaliva ad oltre vent'anni addietro, atteso che tali lavori erano stati eseguiti all'epoca dal costruttore-venditore del complesso immobiliare.
All'esito della consulenza tecnica d'ufficio, prima il Tribunale e, quindi, la Corte d'Appello, adita dai condòmini soccombenti in sede di gravame, accoglievano la domanda con condanna alla restituzione dell'intercapedine ed al ripristino dello stato dei luoghi.
Propongono ricorso per cassazione i condòmini deducendo la mancanza di legittimazione dell'amministratore nonché la violazione dell'art. 2697 Cc, per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia.
In merito alla legittimazione dell'amministratore di condominio la Suprema Corte ricorda come, in materia di <<azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini ( o contro terzi) e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio comune che esulino dal novero degli atti meramente conservativi (al cui compimento l'amministratore è autonomamente legittimato ex art.1130 n.4) c.c. ) possono essere esperite dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea ex art.1131 comma 1 , adottata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c. (Cass. 5147/2003; 40/2015).>>.
Nel caso di specie nulla quaestio, infatti, agli atti risulta depositata la delibera assembleare - adottata con le necessarie maggioranze - che autorizza l'azione giudiziaria dell'amministratore.
Per quanto concerne invece la presunta omessa ovvero insufficiente motivazione, la Corte di Cassazione da atto che, con siffatta eccezione, in pratica si sollecita un nuovo esame delle risultanze istruttorie, evenienza preclusa in sede di legittimità.
Ad ogni modo, sottolinea il Supremo collegio, <<la Corte territoriale ha preso specificamente in esame e disatteso le doglianze proposte già in sede di impugnazione dagli odierni ricorrenti, dandone conto in motivazione, ed ha ritenuto, con adeguato apprezzamento di merito, che il verbale redatto da un agente della polizia municipale e da un dipendente del Comune non fosse decisivo al fine di confermare l'assunto che l'accorpamento dell'intercapedine era stato realizzato già in fase di realizzazione dell'intero fabbricato, atteso che i verbalizzanti non erano stai sentiti come testi a conferma e non era possibile desumere dal contenuto del verbale su quale base avessero raggiunto la conclusione suddetta.>>.
In definitiva, il ricorso viene respinto ed i ricorrenti condannati a pagare le spese del giudizio di legittimità.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©