Condominio

Il «nesso funzionale» tra i beni e la «condominialità»

di Valeria Sibilio


La presunzione di condominialità è stata il fulcro dell' ordinanza 19848 del 2018, nella quale la Cassazione ha esaminato un caso originato dal ricorso , in Tribunale di primo grado, del proprietario di una porzione di fabbricato condominiale con comproprietà ad un cortile comune che aveva sempre posseduto in modo continuo. Tali beni erano in comunione con gli odierni ricorrenti i quali, unitamente ad un attore poi deceduto, avevano delimitato parte del cortile comune con una recinzione e un cancello in ferro.
Il proprietario aveva chiesto di accertare la condominialità del bene e di rimuovere le opere realizzate in loco. I convenuti avevano eccepito che l'attore era titolare solo di una servitù di passaggio sul cortile, disciplinata da un precedente giudicato possessorio. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, riconoscendo la proprietà comune del cortile, sull'assunto che ne esistevano tre distinti, di cui uno di proprietà esclusiva dell'attore poi deceduto, un secondo gravato da servitù di passaggio in favore dell'allora ricorrente ed un terzo in proprietà comune. Il Tribunale aveva ritenuto che l'attore avesse proposto domanda di rivendica di tale ultima porzione, rilevando che il precedente giudicato regolava il possesso e non la titolarità dei beni controversi. L'appello in secondo grado, contro tale sentenza, veniva giudicato inammissibile dalla Corte distrettuale. I ricorrenti, perciò, impugnavano la sentenza di primo grado, con ricorso sviluppato in tre motivi, ai quali si opponevano i resistenti con controricorso.
Nel primo motivo lamentavano il riconoscimento, nella sentenza, della condominialità del cortile senza considerare la destinazione del bene, il titolo di proprietà dei convenuti che escludeva la contitolarità del bene controverso e nonostante il cortile non servisse a dare aria, accesso e luce in pari misura a tutti i fabbricati contigui. Motivo giudicato infondato in quanto il Tribunale aveva ritenuto provata la comproprietà del cortile in base al rogito di acquisto dell'attore, al titolo di provenienza e alla sussistenza del vincolo di accessorietà del bene con gli immobili di proprietà delle parti, oltre ad aver accertato, in base alla sua destinazione, che il cortile divideva le due distinte porzioni ed era soggetto all'uso e al godimento comune, affermando, in questo modo, la sussistenza del nesso funzionale tra i beni che costituisce l'indispensabile presupposto applicativo per l'operatività della presunzione di condominialità ai sensi dell'art. 1117 c.c..
Il ricorso, pur lamentando la violazione dell'art. 1117 c.c., deduceva che la sentenza impugnata sarebbe contraddetta dagli accertamenti espletati nel giudizio possessorio, con cui era stato riconosciuto, in capo ai resistenti, solo l'esercizio del diritto di passaggio sul cortile ed era stato negato che quest'ultimo servisse per dare aria e luce alla porzione originariamente in capo all'allora attore ricorrente. Tale deduzione trascura, tuttavia, di considerare che le azioni proposte, rispettivamente, in sede possessoria e petitoria, pur nell'eventuale identità soggettiva sono caratterizzate dall'assoluta diversità degli altri elementi costitutivi.
Pertanto, nel giudizio, non possono essere invocati i provvedimenti emessi in sede possessoria, le argomentazioni e le circostanze risultanti dalla sentenza che ha definito quel giudizio, giacché queste ultime hanno rilievo solo in quanto si trovino in connessione logica e causale con la decisione in sede possessoria, lasciando impregiudicata ogni questione sulla titolarità formale dei beni e sull'estensione dei diritti vantati dalle parti. Risultava irrilevante, quindi, che le decisioni richiamate in ricorso avessero accertato una situazione di fatto diversa da quelle ritenuta con la sentenza impugnata, risultando dalle stesse deduzioni formulate in ricorso che gli accertamenti espletati in sede possessoria erano funzionali solo alla tutela dell'esercizio del passaggio sul cortile da parte dei resistenti. Non ha alcun rilievo, inoltre, il fatto che i titoli siano stati interpretati nel giudizio possessorio in senso difforme rispetto alla sentenza impugnata, in quanto le argomentazioni della sentenza resa nella causa possessoria non valevano ad accertare la titolarità formale delle situazioni soggettive controverse nel presente giudizio.
Per ciò che concerne il fatto che la creazione dell'accesso al cortile dalla proprietà dell'allora ricorrente fosse stata creata successivamente all'acquisto da parte di quest'ultimo della porzione esclusiva e che detta porzione avesse un affaccio sulla piazza principale dalla quale traeva luce ed aria, il motivo finisce per invocare circostanze di fatto, per le quali non indica in quale sede siano state introdotte in giudizio. Pertanto, la censura non può avere ingresso in sede di legittimità, poiché, sotto l'apparente denuncia di violazione di norme di diritto e di vizi di motivazione, finisce per invocare una valutazione di merito diversa da quella data dal giudice di merito, potendo ammettersi tali contestazioni solo sotto il profilo del vizio di motivazione e solo entro i rigorosi limiti entro cui ne è consentito lo scrutinio.
Nel secondo motivo, i ricorrenti asserivano che la sentenza avesse erroneamente desunto la contitolarità del cortile sulla base dei titoli di acquisto, sebbene non confermassero affatto la comproprietà al cortile. Motivo anch'esso infondato. La censura, oltre a sollecitare inammissibilmente un nuovo esame dei titoli di proprietà, non considera che la comproprietà agli immobili rientranti nella classificazione di cui all'art. 1117 c.c. discende direttamente dalla titolarità della porzione esclusiva cui siano funzionalmente collegati o serventi i primi. Il Tribunale, nell'affermare che il cortile era destinato al godimento e all'uso delle rispettive proprietà, aveva ravvisato quel legame di accessorietà necessaria da cui conseguiva l'appartenenza comune di detta porzione e pertanto l'esame dei titoli poteva assumere rilievo solo per escludere la comunione e per vincere la suddetta presunzione.
Nel terzo motivo i ricorrenti censuravano la violazione dell'art. 1120 c.c., per aver la sentenza asserito che l'apposizione del cancello all'interno del cortile comune avesse l'effetto di ridurre l'esercizio ed il godimento comune, non considerando che tale cancello arrecava beneficio alle rispettive proprietà, separando detto viale da un più ampio tracciato condominiale in modo da evitare l'accesso indiscriminato da parte dei terzi; che in regime condominiale sono vietate solo le innovazioni che determinano una diversa consistenza materiale o impongano al bene una destinazione diversa da quella precedente, non le innovazioni che arrechino benefici all'uso e al godimento comune. Per gli ermellini, un motivo infondato, in quanto la sentenza impugnata aveva stabilito che l'apposizione del cancello, all'interno del cortile, limitava l'esercizio ed il godimento comune, realizzando una non consentita riduzione delle facoltà derivanti dalla condominialità del bene. Pertanto, la Corte aveva ritenuto che i ricorrenti avessero ecceduto dalle facoltà di utilizzo del cortile in violazione del diritto di pari uso che competeva ai resistenti ai sensi dell'art. 1102 c.c.. I principi desumibili dall'art. 1120 c.c. non sono, quindi, invocati in maniera pertinente e la stessa circostanza che il cancello impedisse l'accesso indiscriminato di terzi non poteva assumere rilievo, posto che le stesse innovazioni volte al miglioramento dei beni comuni devono sempre essere adottate dalla maggioranza dei condomini, essendo comunque vietate quelle che arrechino pregiudizio ai diritti che competono ai singoli.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, pari ad euro 200,00 per esborsi ed euro 600,00 per compenso, oltre ad Iva, Cnap e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.

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