Condominio

Nessun amministratore è un’isola

di Francesco Schena

Fare il verso allo scrittore Thomas Merton in questo tempo dell'economia del disvalore riesce a tutti in maniera piuttosto facile. Ma se i colossi della distribuzione non indugiano, allora possiamo farlo anche noi, nel nostro piccolo, tentando di articolare una riflessione che probabilmente farà discutere o non raccoglierà unanimi consensi da parte degli addetti ai lavori.
La considerazione di partenza riguarda il cosa debba intendersi per categoria, segnatamente, per categoria professionale. Senza tante pretese filosofiche, mi appresto subito a trarre la prima considerazione ricorrendo alla sicura Treccani: “Sistema di classificazione volto a identificare e raggruppare i vari profili professionali, in modo da delineare il regime giuridico ed economico cui è sottoposto il prestatore d'opera nell'ambito del rapporto di lavoro.” Definizione impeccabile ma insufficiente ai fini della provocazione di questo articolo.
Se è vero, infatti, che una categoria professionale è confinata da un preciso quadro normativo di riferimento e questo vale anche per gli Amministratori di condominio - dalla legge 220/2012 alla legge 4/2013, passando per il D.M. n. 140/2014 - è altrettanto vero che per aversi una categoria questa è tale se riesce a riassumersi sotto un medesimo cappello. Questo è di facile individuazione quando parliamo di professioni ordinistiche, molto meno quando ci si riferisce a quelle senz'Albo, proprio come gli Amministratori di condominio.
Ecco, allora, la necessità di essere ancor più squadra proprio perché manca un Ordine di governo e di riferimento che possa prendersi la briga di controllare alcuni processi dell'attività professionale, verificare le competenze e i relativi aggiornamenti e, soprattutto, porsi al timone della tutela della deontologia professionale.
Ed è proprio quest'ultima ad incarnare il tema principale e il “capitale fondante di una professione”, la deontologia. Inutile fardello per tanti, principio informatore irrinunciabile per altri, ai più potrebbe apparire curioso, se non contraddittorio, parlare di deontologia in assenza di un Albo perché ci si domanderebbe di quale deontologia parliamo, di quali regole di comportamento, scritte da chi e se sono condividibili visto il gravissimo vuoto normativo a cui il Legislatore continua a costringere migliaia di professionisti del condominio.
Eppure, molto si può fare nonostante l'assenza di un Ordine perché quello che conta, prima di ogni cosa, è avere la voglia e sentire l'esigenza di appartenere ad una categoria. Appartenenza che porta a domandare tutele comuni, rispetto per tutti, migliori condizioni di mercato. Le basi sono di una semplicità disarmante: cominciamo col rispettarci a vicenda. Al bando le liti sui social, no a prezzi umilianti, no agli atti di servilismo verso il cliente, no alla formazione da circo.
La categoria deve avere una sua morfologia, una sua fisionomia, palpabile, tangibile e riconoscibile dall'utente finale. Diversamente, la categoria non esiste e lascia il posto a migliaia di singoli individui che rincorrono affannosamente e inutilmente lo status di professionista non sul piano giuridico ma su quello della riconoscenza sociale. Ma si tratterà di una corsa inutile dove, probabilmente, in pochi ce la faranno ma questo non basterà alla nascita di una categoria.
La famosa (per pochi) legge 4 non è bastata e non basterà. Non basta il titolo di una norma a conferire la qualità di professionista ma il suo contenuto quando strutturato, efficacie, pensato organicamente e attagliato al singolo caso. Sì, perché l'errore di fondo è stato quello di pensare che bastasse una norma generica e piena di filosofie senza senso da affidare alla sola pubblica fede a fare di milioni di partite iva dei nuovi esperti. Anzi, i danni sono stati di gran lunga superiori ai vantaggi e quello più grande è stato quello di far credere a chi non ha mai avuto nulla di professionale di aver ricevuto la patente di professionista e avergli dato ragione nel pensare che infondo bastava molto poco per salire sul podio e passare dall'essere un “non definito”, un “non classificato”, finalmente ad un “professionista”. E questo ci è bastato.
Ed ecco che alcuni amministratori pensano di avere la medesima caratura dell'avvocato, del commercialista, dell'ingegnere. Mai più sciocca illusione vi fu. Questi ultimi hanno conosciuto la gavetta, hanno scalato montagne di sapere, hanno ricevuto una educazione alla professione, osservano regole deontologiche precise, sono soggetti al controllo pubblico. E gli Amministratori? Sono per il 60% improvvisati, privi di una adeguata cultura giuridica ed economica. Discorrono di economia ma pensano che l'SMS sia soltanto un messaggio da inviare con il cellulare. Scambiano la cruda esperienza del trascorrere del tempo con la crescita e la forgiatura, quella di cesello, da maestro, e non si accorgono di essere semplici portatori di esperienze negative a “copia e incolla”, prive di contenuti di qualità.
Non affrettatevi alle conclusioni. La mia non è un'opera di demolizione della categoria ma una coraggiosa descrizione del mondo reale perché sia di stimolo. Vogliamo dirci che siamo tutti belli, tutti bravi e tutti professionali? Possiamo anche dircelo ma a cosa servirebbe? Vogliamo urlare e rivendicare la nostra dignità? Vogliamo limitarci a lamentare la concorrenza dei doppiolavoristi e degli improvvisati? Va bene, ma non basta. Vogliamo continuare a dire che consentire l'amministrazione del condominio al proprietario privo di formazione sia uno scandalo? Va bene, ma non basta.
Tutto questo non basta perché è necessario guardarsi dentro e fare seria autocritica. Non basta perché occorre mettere mano sul quotidiano concreto. Non basta perché dobbiamo comprendere la necessità di una formazione di alto livello e non criticare le 72 ore del DM 140 salvo poi adeguarci tutti in fila. Non basta pretendere dal vento il titolo di professionista che non arriverà mai perché dobbiamo imparare ad esserlo nel quotidiano, rinunciando ad amministrare singole scale perché il condominio è costituito dall'intero stabile. Non basta perché occorre avere il coraggio di saper dire i giusti “NO” al cliente senza avere il timore di perderlo. Non basta perché occorre avere il coraggio di querelare il cliente che crede di avere il diritto di minacciarci o di ledere la nostra onorabilità. Non basta perché bisogna comprendere come sia deontologicamente scorretto offrire il proprio lavoro gratuitamente per il primo anno pur di “farsi conoscere”. E tutto questo soprattutto quando si è pure certificati UNI.
Non basta perché sui social non si possono mettere a nudo le incompetenze profonde accompagnate pure dall'arroganza quando invece ci vorrebbe umiltà e studio. Non basta apporre in calce al rendiconto il timbro di una associazione per farne un documento redatto correttamente ma occorre conoscere i fondamentali della contabilità. Non basta amministrare 200 condomini con l'ausilio di collaboratori sottopagati per sentirsi arrivati.
Occorre riuscire ad avere la meglio sull'avvocato di turno che in assemblea vuole far valere la sua egemonia culturale e sociale nonostante stia dicendo delle inesattezze e per questo occorre struttura, ossatura, architettura portante fatta di contenuti seri e non di sciocchezze. Occorre che non sia il cliente a dirci come fare il nostro lavoro e per questo occorre studio e preparazione. Occorre saper dare al proprio impegno e alle proprie responsabilità il giusto valore e per questo non ci può paragonare al vasetto di yogurt venduto 3 centesimi in meno al supermercato successivo. Occorre saper fare squadra e non improvvisarsi revisori contabili condominiali a danno del collega uscente. Occorre saper pretendere rispetto anche dal cliente. Occorre avere l'umiltà di riconoscere i propri limiti e decidere di studiare seriamente. Occorre saper riconoscere nell'etica un valore aggiunto e non uno scomodo quanto retorico stendardo. Occorre voler essere una categoria, occorre capire che non possiamo muoverci come singoli individui perché a maggior ragione nell'assenza di un Albo quello che facciamo di sbagliato nel nostro individualismo lo facciamo a danno di tutti. Se dequalifichiamo il nostro lavoro, dequalifichiamo migliaia di colleghi. Se assecondiamo i capricci dei condòmini tanto da violare le norme, rendiamo burattini anche i nostri colleghi. Se pur di far risparmiare ai nostri clienti ignoriamo le norme sulla sicurezza rendiamo meno credibili i colleghi che si battono per tutelare le responsabilità e garantire il rispetto delle regole.
Se le Associazioni non bastano, allora diamo ognuno di noi il proprio contributo. Non è più l'ora di stare dalla parte degli associati insoddisfatti e che criticano tutto e tutti, passiamo dalla parte di quelli che fanno, di quelli che vogliono cambiare, di quelli che hanno voglia di costruire un'identità perché è di questo che abbiamo bisogno e non di polemiche o sciocche competizioni. Basta con le competizioni sui social postando le sale convegni più gremite di quelle degli altri, è il tempo di parlare di crescita, di contenuti e di confronti seri e costruttivi.
E proprio perché ci manca il cappello comune gli forzi dovranno essere più intensi, perché da soli siamo deboli, perché da soli non valiamo nulla e perché nell'attesa che un giorno arrivi, chissà, un Albo con delle regole a metterci in ordine e al proprio posto, ora più che mai nessun Amministratore è un'isola.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©