Condominio

La separazione degli edifici in più condomìni deve essere «fisica e funzionale»

di Selene Pascasi

Restano separati i condomìni i cui stabili, pur avendo beni o servizi in comune con la struttura originaria, possono dividersi in parti che hanno caratteristiche tipiche degli edifici autonomi. La separazione, difatti, deve essere fisica e funzionale e non può consistere nella mera divisione e parcellizzazione del complesso immobiliare a fini amministrativi e fiscali.
Lo puntualizza la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 16385 depositata il 21 giugno 2018 (Relatore Antonio Scarpa). A sollecitare l'intervento dei giudici sono alcuni condòmini. Questi, in estrema sintesi, decidono di impugnare la sentenza con cui la Corte d'Appello romana – confermando l'annullamento di una delibera assembleare contestata per difetto di convocazione di una condomina – aveva negato la sussistenza di un distinto e autonomo condominio relativo alla gestione del riscaldamento e dei beni comuni, anche alla luce del regolamento che aveva distinto tre condomini in relazione ai diversi edifici ed al complesso dei parcheggi. Ricostruzione errata per i ricorrenti che, invece, insistono per una diversa denominazione/identificazione del condominio autore dell'impugnata delibera. Dai carteggi, precisano, risultavano costituiti tre distinti condomini e, comunque, il servizio di riscaldamento aveva assunto una gestione autonoma, tanto da mutar nome. Ricorso respinto. A prescindere dal rilievo per cui le doglianze difettavano dei caratteri di tassatività e specificità, così da risolversi in un'inammissibile critica generica della sentenza impugnata, ne andava sancita l'infondatezza. Il collegio di appello – chiarisce la Cassazione – uniformandosi agli insegnamenti resi sul punto dalla giurisprudenza – aveva correttamente affermato che, pur sussistendo beni e servizi comuni in utilizzo a più edifici condominiali compresi nel complesso, non poteva ravvisarsi la sussistenza di un “ente di gestione autonomo” o di un “condominio autonomo” inerente alla sola condomina. D'altro canto, la situazione di fatto che si verifica nei condomini complessi in ordine a determinati beni o servizi appartenenti soltanto ad alcuni edifici, o ai separati rapporti gestori interni alla collettività dei partecipanti, non comporta, annotava anche Cassazione 2363/2012, l'attribuzione di autonome legittimazioni processuali in sostituzione dell'intero condominio in ordine all'impugnazione delle relative deliberazioni assembleari. Ecco che, nonostante i ricorrenti si fossero affannati a ribadire come il condominio in questione fosse venuto a mancare – vista la nascita di un nuovo ente di gestione del servizio di riscaldamento e delle parti comuni avente un altro nome e un differente codice fiscale – la costituzione di condomini separati in luogo dell'originario unico condominio costituito da un edificio o da un gruppo di edifici (regolati dagli artt. 61 e 62 delle disp. att. c.c.) «suppone che l'immobile o gli immobili oggetto dell'iniziale condominio possano dividersi in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, quand'anche restino in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall'art. 1117 c.c.». Disciplina che, è inteso, esclude di per sé che il risultato della separazione si concreti in un'autonomia soltanto amministrativa o fiscale, postulando la costituzione di più condomini la divisione del complesso immobiliare in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale (il cui vaglio attiene al merito), indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere gestorio o contabile. Non solo. Va altresì osservato come il citato articolo 61, prevedendo la possibilità di scissione, in base a deliberazione assembleare adottata a maggioranza, di un unico condominio originario in più condomini, abbia natura eccezionale poiché statuito in deroga al principio per cui la divisione può attuarsi unicamente per autonomia privata o col consenso unanime dei partecipanti alla comunione. Queste, le motivazioni che hanno indotto la Suprema Corte a rigettare il ricorso.

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