Condominio

La canna fumaria lede il decoro architettonico

di Donato Palombella


La crisi economica non accenna a mollare la presa, il commercio è al lumicino e le uniche attività che sembrano resistere sono quelle legate alla ristorazione. Per aprire un ristorante o una pizzeria, però, è necessario dotare il locale di una canna fumaria. A questo punto sorge un problema: dove installiamo la canna fumaria? Di certo non possiamo attraversare le proprietà immobiliari sovrastanti. La scelta obbligata consiste nella possibilità di installarla in aderenza al muro perimetrale, sulla facciata, e convogliare i fumi oltre il terrazzo. Ma questa operazione, apparentemente banale, è del tutto legittima? Rispondere all'interrogativo non è facile.

Il pub ha bisogno della canna fumaria
Il proprietario del locale a piano terra, adibito a pub, appoggia una canna fumaria al muro condominiale ritenendo che ciò costituisca un uso legittimo della cosa comune conforme ai consolidati principi giurisprudenziali in materia di condominio. Un vicino, però, si lamenta del mancato rispetto della prescritta distanza di tre metri tra la canna ed il balcone del proprio appartamento. Il giudizio si svolge praticamente a senso unico: il Tribunale ordina la rimozione della canna fumaria e la Corte d'Appello conferma il verdetto. Secondo il giudice d'appello il manufatto deve essere considerato come una "costruzione", il che rende applicabile l'art. 907 codice civile. La norma impone, nel caso di "fabbricazione" in prossimità del balcone del vicino, di rispettare la distanza minima di tre metri. Il problema, a questo punto, è quello di stabilire cosa debba intendersi per "fabbricazione". In linea di principio, la giurisprudenza ritiene che sia vietato costruire un qualsiasi manufatto che, avendo le caratteristiche dell'inamovibilità e della stabilità, sia in grado di limitare l'esercizio del diritto di veduta. Non manca chi ha applicato la stessa norma anche agli alberi, in quanto anch'essi sarebbero in grado di ostacolare l'esercizio del diritto di veduta.

Il parere della Corte d'appello
Il proprietario del locale a piano terra si lamenta per la "rigidità" della Corte d'appello; l'art. 907 sarebbe stato applicato in via automatica, senza effettuare alcuna valutazione sull'esistenza di una effettiva lesione del diritto di veduta. Il giudice d'appello, inoltre, avrebbe denunciato anche la violazione del decoro architettonico del fabbricato in quanto la famosa canna fumaria, larga 30 cm e alta oltre tredici metri "è inserzione architettonica di rilevante impatto, capace di interferire negativamente pur sui modesti canoni architettonici espressi dall'edificio, così come appare nelle fotografie in atti di prime cure di parte appellante".

Il giudizio della Cassazione
La Sez. II civile della Corte di Cassazione, con l'ord. 15 febbraio 2018, resa pubblica mediante deposito in cancelleria solo il successivo 28 giugno, centra l'attenzione sul concetto di violazione del decoro architettonico. Precisa, in proposito, che deve essere considerata lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale (e quindi vietata) non solo la realizzazione di una innovazione capace di alterare le linee architettoniche, ma anche quella che "comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio". La Cassazione sottolinea, inoltre, che spetta al giudice di merito (ovvero alla Corte d'appello) la valutazione circa la capacità dell'innovazione (nel nostro caso della canna fumaria) di ledere il decoro architettonico dell'immobile. Una volta che il giudice d'appello abbia effettuato tale valutazione, non è possibile chiedere un riesame alla Cassazione, che può effettuare solo valutazioni di legittimità ovvero sulla corretta interpretazione della norma. Nel caso in esame la Corte d'appello, ritenendo il manufatto lesivo del decoro architettonico del fabbricato, ha innalzato una barriera invalicabile che il ricorso in cassazione non può superare.

Un caso analogo
Si ricorda che in un caso analogo proprio la Sez. II civile della Corte di Cassazione (sent. n. 10814/2015) aveva considerato la canna fumaria come un'opera potenzialmente pericolosa e, conseguentemente, aveva applicato l'art. 890 codice civile. Il codice prevede che, ove si vogliano realizzare forni e camini, ovvero attrezzature potenzialmente pericolose, occorre «osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza». In questo caso abbiamo due alternative: le distanze possono essere disciplinate dal regolamento comunale (per cui occorrerà fare riferimento a quest'ultimo) ovvero il caso in cui, in mancanza di norme locali specifiche, occorrerà rispettare le distanze necessarie ad evitare danni ai vicini.
Ma, in pratica, quale sarebbe tale distanza? La norma non detta una misura minima ma introduce un principio generale per cui sarà il giudice, di volta in volta, a stabilire (coadiuvato dai propri consulenti tecnici) quale sia la distanza minima da rispettare per evitare le esalazioni nocive. Nel caso in esame, il regolamento comunale disciplinava la materia imponendo una distanza verticale e prescrivendo, in particolare, che «lo sbocco superiore dei fumaioli... dovrà elevarsi almeno di un metro sul tetto della casa più alta vicina».

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